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Intervista a Federica Argentati, presidente Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia

Cosa sta cambiando nel lungo e arduo percorso di valorizzazione delle produzioni agrumicole siciliane di qualità? Ne abbiamo parlato con Federica Argentati, presidente del Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia.

Da qualche anno, lei propone uno specifico progetto di rilancio delle produzioni agrumicole di qualità siciliane attraverso la rete dei mercati ortofrutticoli, ma di fatto sembra che a oggi non si siano avuti grandi risultati. Perché, secondo lei?


Federica Argentati (FA) - La prima volta che ho parlato pubblicamente di questo progetto era il 2011. Al Macfrut di Cesena, alla presenza di un folto numero di direttori e presidenti dei principali Mercati ortofrutticoli nazionali e imprese della filiera agrumicola siciliana. Francamente ho riscontrato scetticismo da parte delle imprese siciliane e importanti perplessità da parte dei Mercati e delle loro rappresentanze.

Dopo quasi 5 anni, registro maggiore consapevolezza e interesse da parte delle imprese agrumicole alle quali, tuttavia, non mi pare corrisponda, ancora il necessario impegno da parte dei Mercati. Abbiamo fatto, in Sicilia, incontri, riunioni, stilato protocolli con la partecipazione di importanti OP siciliane e la presenza di rappresentanti dei Mercati che, tuttavia, non hanno più avuto seguito.

Ci sono in atto piccole, seppur interessanti iniziative che, a mio parere, se non verranno sostenute in maniera decisa potranno avere solo un effetto boomerang in quanto, a mio parere, questo è un progetto che per essere davvero incisivo deve essere realizzato mettendo in campo, prima di ogni altra cosa, un accordo "politico" tra territori. Quello siciliano e quello dei diversi Mercati ortofrutticoli con il supporto chiaro e determinato del Ministero per le Politiche Agricole.

Sarebbe una bella svolta sia per le produzioni territoriali sia per i Mercati. Oggi più di ieri. A condizione, però, che sia realizzato in maniera corretta. E sarebbe estendibile anche a produzioni di qualità anche di altre zone italiane.


Federica Argentati, presidente del Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia

In Italia c'è maggiore determinazione nel valorizzare i prodotti ortofrutticoli dei territori attraverso le denominazioni d'origine DOP ed IGP, lei come la vede?

FA
- Finalmente! Però la mia sensazione è che si stia passando da un momento in cui parlare di DOP ed IGP era considerata un'utopia alla situazione odierna in cui addirittura si parla di DOP ed IGP quasi fossero marchi commerciali. In realtà, secondo me, le DOP ed IGP devono stare alla base della strategia nazionale di valorizzazione delle produzioni ortofrutticole nazionali in quanto "strumenti" molto efficaci di tracciabilità e provenienza certa della specifica produzione. Bisogna usarli, fondamentalmente, quali strumenti di marketing a tutela della base produttiva territoriale che deve avere "l'arguzia" di non farsi strumentalizzare da quanti puntano sulle DOP ed IGP, in quanto "spendibili sul consumatore" che, alla fine, continua a non conoscere realmente la "faccia" del produttore. Quindi il produttore continua a essere strumento facilmente sostituibile, soprattutto nelle filiere frammentate.

Le DOP e le IGP, accanto ad altre accezioni come il BIO, sono strumenti del territorio di provenienza! Lungo la filiera e fuori dai territori di produzione, le DOP e le IGP devono mantenere il loro peso specifico anche attraverso il sostegno dei marchi commerciali (meglio se collettivi) dello stesso territorio a garanzia di qualità, affidabilità e rintracciabilità della stessa filiera territoriale. Viceversa verranno sviliti e quindi perderanno, con il tempo, potenza. Quindi perderà di potenza il territorio, al solito! E se perde potenza il territorio perde potenza l'intera strategia nazionale. Ed anche per l'utilizzo dei fondi comunitari da coo-finanziare, una strategia che miri ad intercettare un maggiore interesse da parte delle imprese (soprattutto aggregate) è fondamentale per l'affermazione dei marchi di qualità ai quali, personalmente, credo da sempre.

La normativa comunitaria e, di conseguenza, quella nazionale punta molto sugli accordi di filiera, sulla cooperazione, sulle reti d'impresa. Ma i Distretti, secondo il suo punto di vista dove vanno posizionati? Sono divenuti obsoleti? Alcuni lo sostengono.

FA - Bella domanda! Dire che i Distretti sono divenuti obsoleti equivale a dire che i territori sono diventati obsoleti. E' una contraddizione in termini! Anche per quello che abbiamo detto fin qui. Un Distretto è l'insieme delle imprese, degli enti e delle rappresentanze di una determinata filiera che avendo i prodotti, il know how, i mezzi produttivi e il proprio territorio punta a una strategia complessiva dandosi delle priorità e mirando ad affermarle al proprio esterno. Intorno a un tavolo si decide, insieme, come muoversi per grandi linee.


Iniziative del Distretto Agrumi durante EXPO Milano 2015.

Per farlo, però, un Distretto ha bisogno di una forte cooperazione tra le imprese, di accordi di filiera, di iniziative specifiche e imprenditoriali per obiettivi che solo le imprese possono realizzare e certamente non tutte insieme e all'unisono. Sarebbe impossibile e comunque non è compito di un Distretto la commercializzazione diretta né tanto meno il Distretto può sostituirsi alle rappresentanze. Quindi, dandosi regole generali (nell'ambito del Distretto e quindi con le rappresentanze) le imprese devono necessariamente utilizzare tutti gli strumenti a disposizione che mirino a trovare percorsi condivisi per specifici obiettivi. Quindi, ben vengano le OP, le cooperative, le reti d'impresa, gli accordi privati e quanto necessario. Ricordandosi comunque che il problema non è tanto lo strumento in sé, ma la capacità di fare sistema e di cooperare sia orizzontalmente sia in maniera trasversale nella filiera.

E' un problema di crescita culturale e chi sostiene che i Distretti sono obsoleti, evidentemente, fa finta di non comprendere. Sarà un problema di paura di perdere un pezzo della propria rappresentatività della filiera e/o del territorio o semplicemente una strumentalizzazione legata ai finanziamenti pubblici? Sia in un caso che nell'altro, a mio parere, tale atteggiamento, arrecherà danni.

Del settore agrumicolo siciliano si dice spesso essere molto frammentato e litigioso. Perché? Le responsabilità stanno solo in Sicilia?

FA - Frammentato lo è. Tante imprese in tutti gli anelli della filiera, tanti marchi commerciali, tante OP, tante rappresentanze e tanti politici. Tanti ottimi prodotti di grande qualità che, evidentemente, sono divenuti, nel tempo, centro di interesse di tantissime persone mosse, nella stragrande maggioranza dei casi, solo da intenzioni positive. Spesso però tutte queste intenzioni positive, se non inserite in un quadro d'insieme davvero chiaro, possono anche scatenare eccessi di competitività interna, polemiche e in definitiva perdita di potere contrattuale verso l'esterno.


Arance Tarocco.

Quindi, senza dubbio, le responsabilità stanno in Sicilia ma certamente questa è una situazione che sta molto bene a quanti le produzioni agrumicole in Sicilia le vengono a comprare. E' normale! Sarà per questo che, dopo tanti anni e vari episodi, paragono il Distretto Agrumi alla tela di Penelope. C'è sempre qualcuno che prova a "disfare" un laborioso lavoro di tessitura sul territorio che mira, appunto, a fare sistema. A volte questo qualcuno proviene dalla Sicilia ma spesso con specifici input che vengono da fuori. Probabilmente ci vorrebbe un'azione più chiara e coraggiosa sia della politica regionale sia di quella nazionale.

Abbiamo saputo che The Coca Cola Foundation continua a investire sulla filiera agrumicola attraverso il Distretto da lei presieduto. Prima con il progetto di ricerca sul pastazzo da agrumi , oggi con il progetto di inclusione sociale Social Farming. Perché, secondo lei, una grande multinazionale che commercializza, fondamentalmente, bibite come la Coca Cola, lo fa? E, cosa più importante, nella sua attività riceve condizionamenti specifici sulla "politica distrettuale" da seguire?


FA - The Coca Cola Foundation investe in tutto il mondo in ambiti in cui, evidentemente, ha interessi specifici e comunque sempre con progetti molto rispettosi dei territori e volti al sostegno dell'ambiente, della coesione sociale e dello sviluppo in generale. Ricordiamoci che, in Sicilia, Coca Cola ha uno dei principali riferimenti per la produzione non solo della sua omonima bibita ma anche della Fanta che, pur essendo una bibita gassata e con limitate percentuali di arancia viene prodotta con succhi acquistati sul territorio.

Quindi, nell'ambito di una visione giustamente strategica, ampia e lungimirante perché non dovrebbe avere a cuore un territorio e una filiera che, certamente, dovrebbe essere più organizzata? L'errore, secondo me, nella valutazione di questo fatto consiste nell'incapacità di comprendere che in un mondo "normale" tutti dovremmo puntare a favorire la crescita di quanti stanno nella nostra stessa filiera. Lavorare con "gente" poco organizzata e/o scontenta ti dà un vantaggio competitivo effimero che una multinazionale come Coca Cola, ovviamente, non ha interesse a sostenere.


Pastazzo

Diverso, e rispondo alla sua seconda domanda, sarebbe comunque se Coca Cola venisse in Sicilia a imporre progetti pro domo suo. Finora non è stato così. Assolutamente. Ritengo che affrontare il problema pastazzo sia stata ottima cosa; infatti adesso e dopo questo progetto si stanno aprendo tante strade e tante opportunità per la filiera siciliana rispetto all'utilizzo del pastazzo quale fonte di energia, economia della filiera e per l'ambiente, mentre con l'attuale progetto di inclusione sociale, Social Farming, si stanno coinvolgendo tanti giovani, donne, migranti in percorsi formativi che, certamente, non potranno che portare a risultati positivi.

Sul fatto dunque se ci siano condizionamenti sulla "politica" del Distretto da parte di Coca Cola? Rispondo assolutamente no. Ci mancherebbe.

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Per approfondimenti sul Distretto Agrumi di Sicilia e i suoi progetti si invita a visionare il sito web www.distrettoagrumidisicilia.it