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Voce alla GDO con "Parole d'ortofrutta" di Giancarlo Amitrano

Il proliferare di IGP non diventi un boomerang

Sono sempre più numerosi i prodotti ortofrutticoli nazionali che possono fregiarsi del riconoscimento comunitario IGP (Indicazione geografica protetta) ed altrettanto numerosi gli iter di richiesta in corso d'opera.

A fronte di questo proliferare di coccarde concesse o richieste in itinere, sorge però il dubbio sul vero senso di questa certificazione: il marchio IGP serve solo a sancire una sorta di "ius soli", un mero certificato di nascita e residenza, o vuole sottolineare un legame esclusivo e reciprocamente caratterizzante tra territorio e prodotto, un connubio solido e imprescindibile tra luogo di produzione e suoi frutti, un sodalizio senza il quale uno dei due elementi caratterizzanti perderebbe identità, peculiarità, valore aggiunto?

Giancarlo Amitrano responsabile ufficio acquisti ortofrutta della catena Cedigros

La notizia che ha fatto scaturire questa serie di riflessioni è la richiesta di riconoscimento IGP per l'asparago campano, un asparago che storicamente si è sempre fregiato di ben poche peculiarità, a parte la precocità e che quindi troverebbe nella certificazione il solo attestato del terroir.

Lungi dal sottoscritto la volontà di svilire un prodotto che, commercialmente parlando, ha i suoi innegabili punti di forza, ma occorre capire quale sia il valore aggiunto che l'areale porta al prodotto e il prodotto all'areale.

E' innegabile che, IGP o DOP a parte, esistono eccellenze produttive che, per caratteristiche pedoclimatiche del territorio e selezione varietale, trovano la propria essenza solo nel contesto in cui nascono; i due fattori sono talmente intrinseci che spesso il nome della località identifica direttamente il prodotto e viceversa, in una simbiosi riconosciuta e riconoscibile dal pubblico nazional popolare.

Penso a Cannara o a Montoro e alle loro cipolle, a Sezze o Cerveteri o Ladispoli per i carciofi, l'Emilia Romagna e le sue pere, Val Venosta o Val di Non per le mele, l'Etna e i suoi fichi d'india o pere coscia, Siniscola e la pompia, il Medio Campidanese e lo spinoso, Pachino e le sue gemme rosse, Vignola e le ciliegie, Amalfi o Sorrento e i limoni, e forse si potrebbero trovare altre decine di esempi ma, in ogni caso, trattasi di eccellenze, con o senza maglia IGP, che traggono la loro unicità dalla terra in cui nascono e che molto probabilmente in altri territori non troverebbero la loro espressione massima di gusto e straordinarietà.

Le mie potrebbero sembrare righe polemiche e denigratorie, ma in realtà è un semplice richiamo a valutare attentamente cosa si vuole comunicare tramite determinati attestati, onde evitare che il loro proliferare sconsiderato non faccia altro che sminuire il valore dell'attestato stesso facendo, cadere nell'anonimato tutto ciò che oggi si fregia a buon diritto di questi riconoscimenti, perché come spesso accade la democrazia dei meriti è solo un elogio alla mediocrità.

Giancarlo Amitrano
responsabile ufficio acquisti ortofrutta
catena Cedigros

(Rubrica num. 38)