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Il caso del peperoncino

Sapori tradizionali: conservarli significa innovare

Può sembrare strano, ma conservare i sapori tradizionali è una faccenda legata alla capacità di innovazione del comparto agroalimentare, non è un lavoro di ricostruzione filologica. E per questa impresa è necessaria un'alleanza tra il tessuto delle Pmi e i centri di ricerca pubblica.

"No, non è affatto strano. Per salvaguardare i sapori tradizionali, mantenere viva un'eccellenza agroalimentare, è necessario adattarla alle nuove condizioni, ai nuovi mercati. E' necessario ottenere prodotti più utilizzabili, fruibili in modi diversi". Alberto Dezza, amministratore delegato di Blumen Group, incontra FreshPlaza a Roma, a Villa Celimontana, nel palazzo che ospita la sede del CREA, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria.

Qui, a margine dell'evento dedicato al peperoncino, nell'ambito dei "Mercoledì del gusto e dei territori", l'ad dell'azienda leader nel mercato delle sementi spiega il lungo lavoro per migliorare la "durabilità, la digeribilità e l'adattabilità" che serve nella produzione di un ecotipo locale.

C'è il tema della "resistenza e della tolleranza ai patogeni, ai funghi - dice ancora Dezza - In agricoltura siamo pieni di nuovi virus". Poi accenna alla questione delle nuove norme che riducono gli agrofarmaci e al problema dei residui. "Su tutto - continua Dezza - il climate change" che detta l'agenda anche alle filiere agricole.

Per un tessuto produttivo come quello italiano, sarà cruciale la capacità di competere. I primi risultati del 7° Censimento generale dell'Agricoltura saranno diffusi dall'Istat a partire da giugno 2022 ma è noto che l'ossatura del comparto è composta da piccole, medie e micro imprese i cui titolari o i cui azionisti non sono in grado di sostenere "il livello e la durata degli investimenti in ricerca e sviluppo", dice ancora Dezza, ricordando l'impegno che Blumen focalizza su peperoni e peperoncini.

Conservazione e valorizzazione sono le parole chiave per decifrare la ricerca costante di Blumen sul germoplasma, al fine di intercettare i continui cambiamenti del mercato agroalimentare, sia nazionale sia estero, concentrandosi nel miglioramento genetico delle specie. I breeder del Gruppo utilizzano tecniche di miglioramento genetico sia tradizionali sia tecnologiche, basate sull'utilizzo di marcatori molecolari per individuare rapidamente i profili genetici desiderati, e la coltura in vitro (senza l'utilizzo di OGM). 

L'azienda - che nelle scorse settimane ha annunciato, proprio dalle colonne di FreshPlaza, la collaborazione con il Centro Appenninico Jucci dell'Università di Perugia per la sperimentazione su 120 tipicità italiane selezionate dal bagaglio genetico di Blumen - è convinta che la collaborazione con la ricerca pubblica sia la chiave di volta per la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari, perché è la combinazione capace di assicurare quelle dosi di "ricerca di base e pazienza" che consentono risultati eccezionali, come il ripristino di ecotipi spariti (il Peperone di Voghera, "sterminato" negli anni '50) o come Rodeo, il peperoncino di Blumen scaturito dal perfezionamento della varietà Cherry, per ricavarne una varietà moderatamente piccante cui Blumen ha conferito una migliore regolarità della forma per assecondare un'esigenza dell'industria della conservazione.

Proprio l'evento del CREA ha ospitato una relazione sui "suoli piccanti", i risultati del Progetto Pepic di Ismea e Crea, che nel 2017 ha portato alll'identificazione di marcatori genetici per specie/varietà e la generazione di 10 nuovi ibridi che dovrebbero avere proprietà genetiche tali da renderli più robusti e adatti alla raccolta meccanizzata. Più voci, nel corso dell'evento, hanno auspicato la prosecuzione di quella esperienza, in un momento in cui cresce la consapevolezza circa le qualità nutraceutiche e terapeutiche del peperoncino, il "sale dei poveri", alimento identitario della dieta mediterranea da quando venne qui importato grazie alla scoperta dell'America. 

Gusto, salute e territorio: ricercatori di diverse discipline e produttori, alla presenza del sottosegretario Mipaaf Francesco Battistoni, si sono confrontati sulle prospettive di un prodotto che potrebbe ancora crescere molto e che è uno dei simboli gastronomici del nostro Paese. Se la domanda di peperoncino da parte dei consumatori italiani è alta, la produzione nazionale copre solo il 30% del fabbisogno. Il resto proviene da mercati extra-Ue (2mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia), viene importato a prezzi stracciati (1/5 in meno) e si caratterizza per i bassi standard qualitativi, che penalizzano la filiera made in Italy.

In Italia, infatti, da 10 kg di peperoncino fresco si ottiene 1 kg di prodotto essiccato, macinato in polvere pura al 100% e commerciabile a 15 euro, mentre il medesimo prodotto proveniente dalla Cina ha un costo di soli 3 euro, ed è il risultato di tecniche di raccolta e trasformazione molto grossolane, con le quali la piantina viene interamente triturata - compresi picciolo, foglie, radici - con scarse garanzie di qualità e requisiti fitosanitari ben diversi da quelli rispettati nel nostro Paese. La polvere stessa è per sua natura facilmente sofisticabile e anche quando il peperoncino viene importato fresco o semi-lavorato da Turchia o Egitto, la sua qualità viene compromessa dall'utilizzo di molti conservanti.

Gli addetti ai lavori, oltre a restituire l'impegno per la valorizzazione del prodotto (tra tutti vanno citate la Fiera Internazionale del Peperoncino di Rieti e il Peperoncino Festival di Diamante) chiedono una maggiore tutela del prodotto che, grazie al microclima e alle caratteristiche orografiche del terreno, trova nel nostro Paese l'ambiente ideale per la sua coltivazione. La creazione di denominazioni di origine territoriale darebbe al consumatore garanzia di qualità, tracciabilità, salubrità e un valore aggiunto adeguato alla parte produttiva, incentivata ad aumentarne la coltivazione estensiva, presente oggi soprattutto in Calabria (100 ettari, con il 25% della produzione), Lazio, Basilicata, Campania e Abruzzo. Si verrebbe, così, incontro alla domanda sempre crescente dell'industria alimentare e alle esigenze dell'export (nei Paesi Bassi va il 50% della produzione calabrese).

"Fra le sementi, il peperoncino rappresenta una delle eccellenze del nostro made in Italy che dobbiamo difendere e tutelare da attacchi esterni come il sistema di etichettatura a semaforo, il Nutriscore proposto dalla Francia" ha dichiarato il sottosegretario Battistoni annunciando la prossima implementazione del Nutrinform battery, un sistema studiato proprio dal Crea per consigliare la dose giornaliera degli alimenti. "Il peperoncino - ha concluso - è un prodotto che rappresenta i nostri territori e l'agricoltura ne sta riconoscendo l'importanza unendo, alle coltivazioni tradizionali, quelle biologiche, tanto che gli ettari a coltivazione bio dedicate sono in forte aumento".