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A proposito della moria (KVDS) di piante di actinidia

A nome degli Autori prof.Cristos Xiloyannis, prof. Bartolomeo Dichio e del Dott. Evangelos Xylogiannis, diamo pubblicazione al seguente articolo divulgativo sulla problematica della c.d. "Moria del Kiwi".

Nonostante il fatto che, dopo la manifestazione della sindrome, si possano verificare aumenti della popolazione di diversi organismi patogeni presenti nel suolo, essi non costituiscono, a nostro avviso, la principale causa della moria. Essa discende da uno stress per eccesso di acqua nel suolo che, interessando l'apparato radicale, porta spesso alla morte le piante. Questa nostra affermazione si basa sulle seguenti conoscenze:

Caratteristiche dell'apparato radicale
L'architettura dell'apparato radicale del kiwi è molto diversa, nei confronti delle altre specie arboree da frutto. Esso è molto denso, fascicolato, connotato da molte radici laterali con poca dominanza degli apici radicali. Le radici dell'actinidia sono concentrate in un volume di suolo molto limitato e quelle sottili appaiono inserite a ciuffi molto densi sulle radici secondarie e, talvolta, anche su quelle strutturali. Leggeri impedimenti meccanici (compattamento del suolo) ostacolano l'esplorazione, da parte delle radici stesse, di nuovi volumi di suolo a disposizione. In frutteti con distanze di impianto da 5x3 metri difficilmente le radici riescono a esplorare il volume di suolo a disposizione, anche dopo 8-10 anni dall'impianto.

Foto 1. caratteristiche dell’apparato radicale dell'actinidia; molto denso, scarsa dominanza dell’apice radicale, molto lenta l’esplorazione del volume di suolo a disposizione.

Questo aspetto è molto importante per scelta del metodo irriguo e per la sua corretta gestione. Le radici sono molto sensibili agli stress per carenza ed eccesso di acqua nel suolo. Infatti, già dopo pochissimi giorni di eccesso idrico si osserva un blocco del turn-over radicale (fig.1) e, di conseguenza, assenza di radici giovani di colore bianco (foto 2).

Foto 2. Assenza (sinistra) e presenza (destra) di radici giovani, molto efficienti per l’assorbimento idrico e minerale, in terreni con eccesso idrico (piante con sintomi di Moria) e ben drenati rispettivamente (piante sane).


Fig. 1 Bastano pochi giorni con eccesso di acqua nel suolo, durante il periodo di attiva crescita, per mettere in stress le piante, bloccando il turn-over radicale (Smith et al., 1990).

Il drenaggio e l'importanza della struttura dei suoli
La scelta dei suoli da destinare a questa specie e la loro sistemazione, prima dell'impianto, sono dunque di fondamentale importanza per poter evitare/controllare il problema della "Moria" o "Kiwifruit Vine Decline Syndrome" (KVDS). E' difficile trovare suoli ricchi di sostanza organica nella forma stabile (humus attivo, derivante dalla decomposizione per opera dei batteri aerobici) utile per tenere insieme, in forma di aggregati, le particelle fini di limo e argilla responsabili della destrutturazione del suolo e il blocco dei macropori. La sostanza organica svolge un'azione diversa, a seconda del suo grado di evoluzione. Durante i primi stadi di decomposizione, i prodotti che si formano aumentano lo stato di aggregazione delle particelle, mentre negli ultimi stadi di decomposizione si formano gli acidi umici (humus stabile), meno efficienti ma con effetto più prolungato.

In un suolo destrutturato, viene modificato il rapporto componente liquida/gassosa a favore dell' acqua e alterata la composizione gassosa (- O2 + CO2 + CH4+ H2S+ etano + etilene...). Viene inoltre modificata la carica e la qualità del microbioma. Infatti, quando l'attività microbica esaurisce l'ossigeno disponibile, la soluzione del suolo, nel suo insieme, si modifica da aerobica ad anaerobica. Le popolazioni microbiche del suolo con attività aerobica, che dominano i suoli con buon drenaggio, sono sostituite da organismi anaerobi obbligati e fermentativi "che sono naturalmente presenti nel suolo, non alieni".

Il processo di destrutturazione dei suoli è iniziato molti anni fa, con la gestione non corretta delle risorse all'interno del frutteto e in particolare con la carenza della sostanza organica stabilizzata nei vari strati di suolo. Speciale attenzione meritano le concimazioni: per esempio, il Potassio (K) ha un effetto negativo sulla struttura, mentre il Calcio (Ca) agisce positivamente. La stragrande maggioranza dei suoli coltivati ad actinidia presentano valori di K in eccesso.

QUANDO SI VERIFICA IL DANNO ALLE RADICI?
- Durante la stagione delle piogge 
Pianta idroesigente (6-8.000 m3/ha/anno), molto sensibile alla carenza idrica. Il suolo interessato dalle radici deve essere a un livello di umidità prossimo alla capacità idrica di campo. Non si possono applicare stress idrici controllati (come si fa con altre specie arboree da frutto), per svuotare il contenitore di suolo dall'acqua fino a quando non si effettua la raccolta (a ottobre). Sicché il contenitore di suolo sarà pieno di acqua proprio in prossimità della stagione delle piogge, durante la quale la pianta ha scarsi consumi idrici. L'acqua delle piogge si aggiunge a quella presente nel suolo, portandolo al punto di saturazione. Qui inizia il primo periodo di difficoltà dell'apparato radicale, se l'acqua in eccesso non viene drenata negli strati profondi. In questo periodo, la parte delle radici che si trova negli strati profondi marcisce, in quanto si trova in un ambiente asfittico (foto 2) . La pianta riparte con la nuova stagione, ma con un rapporto parte ipogea/epigea non equilibrato.

- Durante la stagione dell'irrigazione 
Questo periodo è molto delicato, in quanto le piante che hanno subito un danno durante il periodo autunno-inverno, partono con un apparato radicale non sufficiente a soddisfare completamente le esigenze della parte aerea. Nei primi mesi (marzo-maggio) infatti, le piante con apparato radicale danneggiato partono, ma con una attività debole (spesso i frutti rimangono piccoli e con un'attività vegetativa ridotta) (Foto 3). Qui subentra la gestione dell'irrigazione, che deve essere molto diversa da quella delle piante sane (presenti all'interno della stessa parcella), in quanto i consumi idrici sono molto diversi (è pertanto necessario differenziare la portata dei singoli irrigatori in relazione alla riduzione dell'area fogliare).

Foto 3. Un danno all’apparato radicale durante il periodo delle piogge induce una ripresa vegetativa molto debole, a causa del ridotto apparato radicale.

Se non si interviene con un apporto differenziato dei volumi irrigui, nelle piante con apparato radicale danneggiato ci sarà un progressivo accumulo di acqua nel volume di suolo interessato dalle radici (lungo il filare), con ulteriori danni che contribuiranno ulteriormente a modificare il rapporto parte ipogea/epigea, con evidenti sintomi di asfissia sulla parte aerea (Foto 4).

Con l'aumento della domanda evapotraspirativa dell'ambiente (giugno-agosto) si verifica la morte delle piante per una carenza di radici necessarie a soddisfare le esigenze idriche e minerali della parte area. Quindi, la carenza di radici sarà dovuta a due principali cause: eccesso idrico e ridotta produzione di assimilati (ridotta fotosintesi) necessari per il rinnovo radicale.

Foto 4. I primi sintomi dell’eccesso di acqua durante la stagione irrigua. Spesso i sintomi si confondono con quelli della carenza idrica.

Cambiamenti climatici e moria (KVDS)
Fenomeni estremi, in particolare la pioggia, la sua distribuzione e intensità sono determinanti per il manifestarsi del fenomeno della moria (sempre nei terreni con scarso drenaggio). Piogge intense, che creano condizioni di saturazione (apporto superiore a quello drenato) nel periodo di crescita attiva portano in breve tempo a un danno rilevante alle radici. Se non si interviene subito con apporti idrici differenziati con l'irrigazione (piante sane e piante danneggiate), dopo pochi giorni - per l'effetto della elevata domanda evapotraspirativa dell'ambiente - le piante con apparato radicale danneggiato collassano. Gelo (periodo invernale) disgelo (primavera) agiscono sulla struttura del suolo (autoriparazione) riparando i danni sui macropori che l'uomo, attraverso la sua non corretta gestione, ha provocato durante la stagione vegeto-produttiva (Fig. 2).

Fig 2. Gelo-disgelo (1987-88), autoriparazione dei macropori in un terreno irrigato per scorrimento nel Veronese (Xiloyannis et alii."L'irrigazione per scorrimento nel veronese: spreco di acqua e di concimi; effetti sulla porosità del suolo" Frutticoltura n.6-1992, pp55-62).

COSA FARE? Impianti esistenti

Suolo

  • Migliorare la fertilità chimica e microbiologica dello strato di suolo superficiale (0-40 cm) con apporto di carbonio dall’esterno (circa 20 tonnellate/ettaro/anno) di letame/compost lungo la fila (diametro di circa 2 metri) e dall’interno del sistema (legno potatura, inerbimento).
  • Dopo la raccolta, semina lungo i filari di specie con effetto decompattante e idroesigenti, per ridurre il contenuto idrico negli strati di suolo maggiormente interessati dalle radici dell’actinidia. Importante il consumo idrico da parte di queste specie, in un periodo in cui la pianta di actinidia non consuma acqua.
  • Verificare il contenuto di Potassio (K) e Calcio (Ca) nel suolo. Il Potassio favorisce la destrutturazione dei suoli e riduce la conducibilità idraulica verticale dell’acqua, mentre il Calcio agisce in maniera positiva. Riportare in equilibrio il rapporto K/Ca nel suolo, oltre agli effetti positivi sul movimento verticale dell’acqua, facilita l’assorbimento del calcio dal suolo, con conseguente aumento delle concentrazioni del calcio nei frutti.
  • Apporto, attraverso fertirrigazione, di microorganismi utili e antagonisti per alcuni agenti patogeni nello strato di suolo maggiormente esplorato dalle radici.
  • Facilitare il movimento laterale dell’acqua in eccesso lungo i filari (dove si concentra la stragrande maggioranza delle radici) attraverso interventi nel suolo (vedi foto 5, 6, 7, 8). Tale intervento è necessario, in quanto i macropori in profondità sono chiusi dalle particelle di limo e argilla trasportate con l’acqua di irrigazione e/o dalle piogge (suoli destrutturati).

Foto 5. In impianti esistenti, a circa 1 metro dal tronco delle piante apertura di una canaletta (70X40 cm) con tubo drenante.

Foto 6. La canaletta riempita con miscela torba/compost per creare un ambiente favorevole per lo sviluppo delle radici e favorire il drenaggio sia laterale che verticale.

Foto 7 . Ripper da utilizzare subito dopo la raccolta con passaggi nel interfilare, partendo da circa un metro dal tronco delle piante. Con questo intervento si facilita sia il movimento sia verticale che orizzontale dell’acqua in eccesso.

Foto 8. Intervento nell’interfilare con il ripper a una profondità di circa 80-90 cm.

Pianta

  • Con il manifestarsi dei primi sintomi all’inizio della stagione vegetativa, potare drasticamente (per riportare in equilibrio il rapporto radici/foglie) togliendo anche tutti i fiori/frutti.
  • Ridurre l’apporto idrico (portata dell’irrigatore) in quanto il loro consumo idrico è inferiore rispetto alle piante sane.
  • Irrigare con il microjet e con maggiore frequenza (giornalmente) per poter mantenere attive le poche radici sane che si trovano negli strati superficiali del suolo.
  • Intensificare le concimazioni fogliari, in quanto l’apparato radicale non è in grado di soddisfare le esigenze della parte aerea.
  • Utilizzare dei sensori per il rilevamento del contenuto idrico nelle varie profondità (20-40-60-100 cm sia in una pianta sana che una danneggiata). La lettura giornaliera dei sensori è necessaria per poter fare una irrigazione differenziata e di precisione.

COSA FARE? Nuovi impianti

  • Determinazione del profilo (fino a 2m di profondità) del suolo
    Analisi chimica e fisico-meccanica dei vari profili per valutare la capacità di drenaggio dei vari profili.
  • Preparazione del suolo scasso/rippatura (a seconda del tipo di suolo) a circa un metro di profondità.
  • Nei terreni pesanti con scarsa sostanza organica, apertura, lungo i filari, di un solco (1 x 1) con tubo drenante e riempito di una miscela fatta di compost o torba, letame e suolo per creare un ambiente favorevole per lo sviluppo radicale (elevato contenuto di Carbonio, ottimo drenaggio, elevato contenuto di Ossigeno e di microorganismi aerobici). Attenzione: la miscela deve essere fatta in maniera equilibrata per avere un substrato con una adeguata ritenzione idrica.
  • Una leggera baulatura (nei terreni senza il solco lungo i filari) per facilitare il movimento laterale dell’acqua in eccesso che sarà raccolta lungo l’interfilare con possibilità di scarico nelle canalette.
  • Apporti di carbonio esterno (50-100 t/ha compost/letame) lungo i filari da mescolare con il suolo oppure al momento del trapianto aprire buche 1x1 m e coprirle con una miscela di terreno e prodotti con elevato contenuto di carbonio (compost-letame-torba).
  • Ricordarsi sempre che il problema della moria riguarda l’eccesso idrico lungo il filare (diametro di circa 2 m) e non tra le file, dove spesso non ci sono radici di actinidia.

Miglioramento genetico/portinnesti
Ci troviamo di fronte a una situazione unica nell'ambito delle colture arboree. Fino a circa 15 anni fa la totalità della produzione a livello mondiale era rappresentata da un'unica varietà a polpa verde (Hayward), utilizzando piante autoradicate (talea o micropropagate). Va rilevata l'assenza di portinnesti validi per superare stress biotici e abiotici e per controllare altre caratteristiche vegeto-produttive. L'assenza dei portinnesti non ci facilita il compito di poter affrontare (come si fa con altre specie arboree da frutto) il problema della "moria" dei terreni destrutturati con scarso drenaggio.

Il portinnesto D1, selezionato dalla Vitroplant, ha trovato una certa diffusione in particolare nei terreni con calcare attivo fra 4 e 6% mentre il Bounty 71 (semenzale di Actinidia macrosperma di origine neozelandese) sembra meno sensibile al ristagno idrico, meno vigoroso dell'Hayward e del D1 (ma con una maggiore sensibilità alla Psa e al marciume dei bottoni fiorali - è necessaria la sperimentazione nei nostri ambienti).

Punti da tenere sempre presenti

  • Non è una malattia, ma uno stress per eccesso di acqua a causa dello scarso drenaggio.
  • Principalmente, l’eccesso di acqua riguarda il suolo lungo i filari dove è presente la quasi totalità delle radici e, purtroppo, è difficile qualunque intervento per migliorare la situazione negli impianti già esistenti.
  • L’eccesso di acqua si può verificare durante la stagione delle piogge e/o durante gli interventi irrigui.
  • Non utilizzare prodotti chimici per combattere la "malattia", se non si interviene per rimuovere la causa principale che è l’eccesso di acqua.
  • Eventuali risorse finanziarie pubbliche vanno indirizzate alla ricerca, alla formazione dei tecnici e imprenditori agricoli e per un'assistenza tecnica qualificata agli agricoltori.
  • Il gruppo di lavoro a livello nazionale incaricato di affrontare l’emergenza "moria" deve essere multidisciplinare, con competenze di gestione della risorsa idrica, gestione del suolo, fertilità chimica e microbiologia e dei patogeni. Evitiamo di commettere gli errori che sono stati fatti nel passato per affrontare altre emergenze.

Contatti
Cristos Xiloyannis - Email: cristos.xiloyannis@unibas.it
Bartolomeo Dichio - Email: bartolomeo.dichio@unibas.it
Evangelos Xylogiannis  - Email: evangelos.xylogiannis@gmail.com

Data di pubblicazione: