Negli ultimi anni si è assistito a un graduale calo delle superfici investite a cima di rapa nei diversi areali meridionali. Sono sempre meno, infatti, le aziende che decidono di coltivare questo tipico broccoletto pugliese.
Un commerciante della provincia di Brindisi ci spiega: "Fino a un decennio fa, ero solito acquistare la merce da 15-20 aziende locali; quest'anno ne ho soltanto cinque. Il prodotto scarseggia perché, oltre a una generale riduzione delle rese per ragioni climatiche, non ci sono più abbastanza ettari investiti. È una coltivazione che viene considerata poco redditizia, e perciò spesso gestita con scarsa professionalità. Nel tempo, non si è verificato quel tipico ricambio generazionale come per le altre colture. Le remunerazioni ottenute dai coltivatori non sono soddisfacenti. Ogni anno la campagna è un rebus: bisogna sperare che determinati episodi climatici riducano le disponibilità per poter spuntare prezzi più alti".
Le temperature miti dei mesi autunnali hanno accelerato la crescita, causando successivamente una forte riduzione dell'offerta a partire dalla seconda decade di novembre. "Si riescono a vendere circa 40-50 casse a giorni alterni - riprende l'operatore - Sto spedendo volumi anche all'estero, come Svizzera e Germania. La carenza della manodopera necessaria per la raccolta è un'altra grande seccatura per i coltivatori di cime di rapa. Al momento, i prezzi all'ingrosso sono di 1,50-1,80 €/kg, quotazioni sicuramente maggiori rispetto al passato, ma che influenzano in negativo le vendite, poiché i consumatori, pur di risparmiare e affrontare un carrello della spesa ancora pesante, devono scegliere quali articoli acquistare e a quali rinunciare. Per chi produce cime di rapa, i conti dunque non sempre tornano. D'altronde, non è poi così difficile rispondere alla domanda: che fine hanno fatto tutti gli ettari di cime di rape coltivati in Puglia (e non solo)?".