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Di Rossella Gigli

Solo una sana e consapevole solidarieta' puo' salvarci dal tracollo delle vendite e dal sottocosto

Problema: a quale percentuale di sconto va collocato in vendita un prodotto sullo scaffale per intercettare coloro che hanno perduto potere d'acquisto?

La soluzione a questo problema sembrerebbe a tutta prima impossibile, perché neppure una percentuale di sconto del 99% può riattivare gli acquisti di chi ha zero da spendere.

Ma quante sono oggi le persone in questa condizione, nel nostro Paese? Un recente rapporto Eurispes ci informa che: "In Italia 2,5 milioni di famiglie vivono al di sotto della soglia di povertà e altrettante appena sopra questa soglia. In pratica, circa 16 milioni di persone hanno serie difficoltà ogni giorno a mettere insieme il pranzo con la cena e spesso il cibo non è della migliore qualità."

Sedicimilioni (già solo scrivere questa cifra sembra un'enormità!) di persone non sono più in grado di alimentarsi decentemente. Una cifra probabilmente destinata ad aumentare, stante l'allarme lanciato dalla Fondazione Banco Alimentare e puntualmente caduto nell'indifferenza generale dei mass media.

Banco Alimentare informa che "dal primo gennaio 2014 cessa il programma europeo di aiuti alimentari agli indigenti dell'Unione europea (Pead), a causa della fine delle scorte di sovrapproduzione agricola, su cui si fondava il piano. Attraverso la consolidata gestione operativa di Agea, da oltre 20 anni l'Italia beneficiava della rete del "Pead", garantendo di fatto alla filiera di aiuto alimentare agli indigenti quantità importanti di prodotti, dei quali hanno beneficiato, nel 2012, oltre 3 milioni e mezzo di poveri. Dal 2014, però, il quadro rischia di essere diverso."

Una "bomba sociale" ad orologeria, dunque, che scoppierà in mano a tutti... Che fare? Per fortuna si dice che ogni problema abbia già in sé la propria soluzione. Forse anche questo è il caso.

Perché, ad esempio, non organizzare una giornata di solidarietà nei supermercati a benefico della Fondazione Banco Alimentare (o della Caritas, o di chi per lei) a cadenza settimanale, invece che una volta l'anno? Magari inserendo degli incentivi per i consumatori-donatori ed estendendo il concetto anche ai beni deperibili? (cfr. nostro precedente editoriale sul tema).

Potrebbero iniziative del genere contribuire a una riduzione della pressione promozionale nei punti vendita, laddove essa non può più strutturalmente generare maggiori vendite? Contribuirebbero a riattivare la redditività per tutta la filiera di approvvigionamento, con ricadute occupazionali positive?

Il problema visto in apertura diventerebbe infatti: a quale percentuale di sconto va collocato in vendita un prodotto sullo scaffale per intercettare coloro che desiderano donarlo a chi non può permetterselo?

Il bello delle gare di solidarietà è che, di solito, se ne esce tutti vincitori.