Il punto vendita fisico è da sempre considerato un importante mezzo di comunicazione, specie se arricchito da cartellonistica, espositori, crowner roter o display. Strategie di marketing, dunque, che spesso hanno un duplice obiettivo: aumentare le vendite, oltre che comunicare determinate caratteristiche dei prodotti inseriti a scaffale.
Un episodio simile si è verificato anche per le uve da tavola pugliesi. In una nota insegna di supermercati, nel reparto ortofrutta e in corrispondenza del prodotto in esposizione, sono stati appesi dei cartelli in cui vengono indicate alcune varietà di uve, la loro stagionalità e le principali caratteristiche, al fine di informare i consumatori e guidarli nella migliore scelta d'acquisto. Tra le tipologie riportate: Italia, Red Globe, Palieri, Pizzutella, Crimson e altre cultivar. (Nella foto a lato, cartelli apparsi in un supermercato del sud barese).
A tal riguardo, Donato Fanelli, noto imprenditore pugliese, ci spiega: "Molto bene l'iniziativa della catena di Gdo. Finalmente, qualcuno della filiera che ha capito quanto sia importante la comunicazione. Non dobbiamo aspettare però che siano i retailer a occuparsi del marketing delle uve. È giusto che lo facciano le aziende che producono e che le commercializzano, anche per capire al meglio verso quali varietà sarebbe opportuno spingere di più e su quali invece no. Il problema è che c'è troppa confusione varietale: ogni anno vengono lanciate tante nuove cultivar e "rottamate" poche altre, che spesso hanno scritto la storia di alcuni territori. La promozione e la valorizzazione deve partire dagli operatori verso i distributori, per poi indirizzarsi ai consumatori. Servono fondi per pubblicizzare sia su emittenti radiofoniche o televisive sia sui social network, per tutto il periodo di raccolta e commercializzazione, quelle che sono le caratteristiche delle diverse varietà per spingere il consumatore ad acquistarle".
Fanelli ci riferisce che al momento sono circa 180 le nuove selezioni e varietà tra uve bianche, rosse e nere senza semi. "Qual è il percorso da intraprendere per valorizzarle? Mentre le altre filiere si concentrano nella creazione di brand, pensiamo ad esempio alle mele o alle pere, aumentando anche la customers experience, sulle uve ancora non abbiamo chiaro neanche cosa coltivare, nonostante sia il secondo prodotto più esportato. Il rischio è di ritrovarci con un prodotto privo di identità, che non ha distinzione sui mercati, quando invece chi le ha brevettate e chi le ha coltivate ci ha speso tempo e denaro proprio per determinate caratteristiche produttive e commerciali. Non prendiamo come riferimento la campagna in corso. Quella di quest'anno è infatti un caso a parte, utile a curarci le ferite delle passate stagioni. E' come andare in barca a vela con 3mila nodi: la navigazione è assicurata".