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Voce alla GDO con "Parole d'ortofrutta" di Giancarlo Amitrano

"Uve senza semi: a breve avremo nostalgia delle varietà classiche"

Ci sono cambiamenti che partono in sordina, senza particolari aspettative commerciali, se non quella di dare maggiore profondità ad un determinato segmento assortimentale e che poi invece si rilevano essere rivoluzionari e sovvertitori dell'ordine costituito.

Esempi in ortofrutta ce ne sono, ma vista la stagionalità parliamo oggi del colpo di stato avvenuto in ambito uva da tavola da parte delle varietà senza semi, "apirene" per i puristi del linguaggio tecnico.

Pochi anni dalla loro comparsa e ormai per molti produttori le senza semi hanno superato, in ettari dedicati, le varietà classiche, con un trend di crescita che vede i grafici ad andamento verticale costante; in alcune nazioni si parla ormai del 100% del consumo e l'Italia sembra assestarsi intorno a un 40% nonostante la forte tradizione, radicata in particolare al centro-sud, sulle classiche (con semi) ad acino medio-grande.

Parlando con alcune aziende specializzate, qualcuna afferma che nel medio termine uva Italia, Vittoria, Regina e Pizzutella diventeranno una nicchia di mercato, una sorta di limited edition dell'acino, con filari dedicati solo a preservare la memoria storica di un prodotto che ha fatto la storia, con il compito di soddisfare la nostalgia degli anziani e stupire al contempo le nuove generazioni che sorrideranno nell'atto di dover scartare i semi durante la masticazione come fosse un atto preistorico.

Se consideriamo che quasi il 70% delle uve senza semi sono varietà brevettate soggette quindi a royalties, e a questo aggiungiamo la riduzione delle superfici dedicate a varietà classiche, non sembra utopia ipotizzare una risalita dei prezzi medi al kg in questo segmento, alla luce di due fattori concomitanti: brandizzazione da un lato e rarità dall'altro.

Lato retail ovviamente la costante crescita degli spazi dedicati alle nuove varietà sposta inevitabilmente la propensione all'acquisto, perché è inutile nascondere il fatto che l'elemento visual influisce sensibilmente sui dati del venduto: mi viene in mente qualche dichiarazione euforica di crescita eclatante delle MDD, quando in realtà non si assiste ad altro se non allo switch dalla marca del produttore alla marca del distributore.

Quindi, forse il compito della GDO sarà arginare la perdita completa di interesse verso le tipologia storiche autoctone, mixando correttamente le proposte assortimentali sui banchi, perché è inevitabile che continuando a sostenerne la vendita non si permetterà l'abbandono totale della produzione. L'assunto che 'si produce quel che si vende' prevarrà sul 'si vende quel che si produce'?

Giancarlo Amitrano
responsabile ufficio acquisti ortofrutta
catena Cedigros

(Rubrica num. 25)