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A cura del Dipartimento di Agraria di Uni Napoli

Moria del kiwi e stanchezza del terreno: i risultati dalle prime sperimentazioni in campo

Con due diversi articoli pubblicati su FreshPlaza il 31 agosto (clicca qui per rileggere) e il 22 settembre 2020 (clicca qui per rileggere), il gruppo di lavoro sulla stanchezza del suolo - coordinato per gli aspetti scientifici dal prof. Stefano Mazzoleni del Dipartimento di Agraria dell'Università di Napoli Federico II e per quelli tecnici dal tecnico Franco Saccocci - ha presentato i primi risultati di una sperimentazione iniziata lo scorso luglio, con l'obiettivo di individuare soluzioni efficaci e sostenibili alla moria del kiwi. A distanza di mesi, gli stessi autori presentano un aggiornamento sull'andamento delle prove, tuttora in corso.

Osservando le dinamiche con cui la moria del kiwi si è manifestata in Italia nei numerosi impianti colpiti, il problema è stato ricondotto, da questo gruppo di ricerca - a una condizione di stanchezza del suolo (o stanchezza del terreno), ovvero a una incompatibilità tra la coltura e il suolo su cui questa è stata precedentemente coltivata. Tale fenomeno viene attribuito dallo stesso gruppo di ricerca all'accumulo nel suolo del DNA della specie coltivata (self-DNA), che inizialmente causerebbe uno scarso accrescimento radicale, cui seguirebbe una necrosi delle radici stesse e, nei casi più gravi, il collasso della pianta (fig. 1).

Figura 1. Spiegazione della stanchezza del terreno in relazione all'ipotesi di accumulo di DNA nel suolo. A sinistra: suolo ricco di sostanza organica eterologa, con microbioma ad alta biodiversità e DNA nel suolo diverso da quello della specie coltivata (pianta vigorosa). A destra: suolo fortemente condizionato dalla coltura, con forte accumulo di DNA della pianta, che presenta un apparato radicale compromesso ed evidenti sintomi di deperimento.

La sperimentazione si è focalizzata su un obiettivo chiave: ricondizionare la rizosfera, eliminando le condizioni di stanchezza del suolo attraverso interventi efficaci, oltre che economicamente ed ecologicamente sostenibili.

Come già descritto nei precedenti articoli, la soluzione più interessante - secondo i ricercatori - si è rivelata l'applicazione di cosiddetti "compost tea", prodotti aerobicamente utilizzando particolari miscele di compost organici e sostanze organiche eterologhe, cioè di origine diversa dalla specie coltivata. Gli infusi così ottenuti, se utilizzati costantemente in fertirrigazione, sarebbero in grado di determinare una rapida ripresa vegetativa, riconducibile al ricondizionamento del suolo esplorato dalle radici (fig. 2). 

Figura 2. Ripristino di condizioni di fertilità del suolo mediante l'uso di compost-tea in fertirrigazione. Nell'area di suolo interessata dal trattamento, la pianta sembrerebbe ricostituire radici attive, sfuggendo localmente alla stanchezza del suolo.

Allo stesso tempo, l'applicazione degli stessi composti a livello fogliare permetterebbe di sostenere le piante, soprattutto nelle fasi in cui l'apparato radicale è ancora compromesso.

Ulteriori accorgimenti agronomici hanno riguardato l'aumento del numero di specie vegetali in campo - attraverso l'inerbimento e la valorizzazione delle specie spontanee - e la rimozione dal campo dei residui delle potature, la cui decomposizione causa un rilascio costante del DNA del kiwi, accentuando la stanchezza del suolo. Va segnalato che l'introduzione di nuove trincia-raccoglitrici agevola la rimozione dei residui, che possono quindi essere destinati al compostaggio (e al successivo impiego in campi non coltivati a kiwi).

Figura 3. Condizioni dell'impianto nelle prime due settimane dall'inizio del trattamento (agosto 2020, Latina)

Questi interventi, accompagnati da una generale razionalizzazione delle attività agronomiche, con particolare attenzione alle modalità di irrigazione, hanno permesso di raggiungere risultati preliminari incoraggianti: in oltre 200 ettari, in diverse regioni, si è riusciti, almeno in apparenza, ad arrestare il decorso della moria del kiwi. 

In tutti gli impianti trattati a partire dal periodo estate-autunno 2020, le piante parzialmente o totalmente defogliate - già a poche settimane dall'inizio degli interventi - hanno preso a emettere nuovi getti (fig. 3). La ripresa primaverile di questi impianti è stata rigogliosa (fig. 4 e 5), prospettando un recupero completo entro la fine di quest'anno (tali risultati andranno tuttavia vagliati alla prova del tempo, in quanto una ripresa vegetativa potrebbe palesarsi anche in piante compromesse da asfissia, specie in stagioni senza particolari avversità di altro genere - NdR). 

Figura 4. Ripresa vegetativa (fine maggio 2021, Latina) dello stesso impianto mostrato in figura 3, fortemente compromesso da moria del kiwi e trattato a partire da agosto 2020.

Diversi agricoltori hanno iniziato ad adottare la metodologia a partire da febbraio 2021, poche settimane prima della ripresa vegetativa. Anche in questi casi, sebbene i trattamenti abbiano preceduto solo di poche settimane la ripresa vegetativa, è stata comunque ottenuta una buona ripartenza degli impianti (fig. 5).

Figura 5. Ripresa vegetativa (inizio giugno 2021, Verona) di un impianto fortemente compromesso da moria del kiwi, trattato a partire da ottobre 2020. In questo caso, l’impianto ha subito anche i gravi danni della gelata di aprile 2021.

Il gruppo di ricerca dichiara: "I risultati finora raggiunti sono incoraggianti per noi e per tutti gli agricoltori che in questi mesi sono stati parte attiva delle sperimentazioni, autofinanziando le prove e garantendo la massima disponibilità operativa. Il gruppo di lavoro resta a disposizione per fornire ulteriori spiegazioni e supporto agli agricoltori e ai tecnici interessati".

Figura 6. Ripresa vegetativa (inizio giugno 2021, Latina) di un impianto compromesso da moria del kiwi, trattato a partire da febbraio 2021.

A cura di Mauro Moreno (Dipartimento di Agraria, Università di Napoli Federico II), Franco Saccocci (tecnico), Pietro Caggiano (tecnico), Astolfo Zoina (Dipartimento di Agraria, Università di Napoli Federico II) e Stefano Mazzoleni (Dipartimento di Agraria, Università di Napoli Federico II) .

Per maggiori informazioni:
mauro.moreno@unina.it
saccocci.franco@gmail.com 

Data di pubblicazione: