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Istanze difficilmente conciliabili tra produzione e retail: il confronto tra le operatrici donne in ortofrutta

Tendenze di consumo che vanno verso la ricerca di un equilibrio tra il dovere di mangiare sano e il piacere di mangiare bene, iniziative di marca e attenzione alla qualità, ma poi a dominare su tutto è spesso una politica di prezzo che mira - obiettivo assai difficile! - a offrire al consumatore finale il rapporto più competitivo possibile tra qualità e prezzo. In un Paese dalla complicata logistica come l'Italia, con prezzi dei carburanti e costi energetici in ascesa a causa delle dinamiche geopolitiche internazionali, tutta la filiera è destinata per forza a diventare più costosa. Non è poi da sorprendersi se i prezzi alla pianta e quelli a scaffale siano molto distanti tra loro (cfr. news odierna).

Lodevole dunque il tentativo della neonata Associazione Donne dell'Ortofrutta di intavolare un confronto - svoltosi durante Macfrut - tra operatrici della filiera sul fronte della produzione e su quello del retail, perché il tentativo di dialogo è l'unico in grado di aprire spiragli in quello che altrimenti rischierebbe di rimanere un monologo tra parti sostanzialmente inconciliabili.


Se da una parte, infatti - quella della Gdo - esiste la necessità di democratizzare la qualità (come sottolineato da Maura Latini, Direttore Generale di Coop Italia), nel senso di portare - a prezzi percepiti come convenienti - sempre maggiore ortofrutta sana e buona da mangiare a quante più persone possibili, il fronte della produzione deve fare i conti con costi in aumento, non fosse altro che per le condizioni climatiche sempre più imprevedibili (come evidenziato da Francesca Nadalini, responsabile commerciale dell'azienda Meloni Nadalini).

Appare dunque arduo conciliare un'offerta appetibile per il consumatore (anche e soprattutto sul fronte del prezzo di vendita) con una giusta remunerazione dell'offerta. Tanto che il paradosso emerso dal confronto tra operatrici è che oggi, nonostante i nuovi stili di vita e i trend documentati da vari studi, si consuma meno ortofrutta che non agli inizi del 2000.

Qualche opportunità di manovra esiste guardando ai criteri con i quali il consumatore effettua le sue scelte. Per quanto riguarda l'ortofrutta, tali criteri vedono la stagionalità, il made in Italy e il territorio ai primi posti; poi viene il posizionamento di prezzo, secondo driver di acquisto, quale espressione concreta del "valore" percepito.

Come illustrato in apertura del convegno-confronto da Salvo Garipoli, senior consultant di SG Marketing, il punto vendita, in tale contesto, assume un ruolo prioritario di mediatore di fiducia: la comunicazione al punto vendita può supportare l'immagine del prodotto attraverso uno story-telling utile, perché volto a formare e informare il cliente-consumatore. "La qualità – afferma Garipoli – è oggi più che mai una scelta, compito degli attori produttivi è quello di riuscire ad elevare l'esperienza di prodotto, operando in una logica category applicata fuori e dentro il punto vendita".

L'importanza di raccontare cosa c'è dietro il prodotto è stata anche l'osservazione di Patrizia Manghi, titolare di SalFrutta: "E' fondamentale la collaborazione di tutti gli attori della filiera per raccontare al consumatore il lavoro che c'è dietro un prodotto ortofrutticolo. Il racconto deve essere il viaggio delle esperienze e del sapere di tutti gli attori della filiera. Solo se sapremo trasmettere questi valori al consumatore finale riusciremo a ridare valore al nostro prodotto". Ma non meno importante appare l'aspetto logistico, dove la gestione dei prodotti dal campo alla piattaforma e dalla piattaforma al punto vendita è determinante per ottenere e conservare la massima qualità.

Una qualità che è anche una promessa: in tal senso la costruzione di brand mira a offrire una maggiore garanzia, come dichiarato da Carmela Suriano, general manager di Planitalia e CEO del Club Candonga Top Quality: "Fare branding in ortofrutta è diventata un'esigenza. Per la fragola, ad esempio, regnava l'indifferenziazione, il consumatore non aveva altri strumenti di scelta, se non il prezzo, il paese d'origine o l'insegna. Con Candonga abbiamo legato in un brand la qualità superiore di una varietà a un territorio, dimostrando che il consumatore è disposto a pagare un prezzo coerente con la qualità posseduta e percepita."

Da parte sua, Annabella Donnarumma, Amministratore Delegato di Eurogroup Italia, per il gruppo Rewe, ha evidenziato l'importanza della programmazione nel rapporto con i produttori, un rapporto consolidato e rafforzato nel tempo che porta risultati reciproci, perché dà sicurezza.

Su tutto, poi, si stagliano le nuove frontiere della vendita al dettaglio, come l'e-commerce. Emma Neifar, CCO di Cortilia, ha parlato del nuovo approccio alla vendita ("valore, non prezzo") e alla fornitura di un sistema come Cortilia. "Poiché nell'e-commerce si sacrificano tre sensi – vista, olfatto, tatto – si compra sulla fiducia e sull'esperienza del primo acquisto. E' dunque determinante la garanzia di un elevato standard di qualità, che si può ottenere solo tramite la programmazione con i fornitori, la catena del freddo, la forza logistica".

Tutte cose che hanno costi e che presentano difficoltà di cui il consumatore è quanto mai inconsapevole. Se mangiare sano deve essere un dovere e un piacere, tale tendenza non può però fermarsi all'aspetto più o meno edonistico del singolo, ma diventare comprensione più ampia e profonda verso gli aspetti di responsabilità sociale di una filiera che parte dalla produzione e che ad essa deve ritornare in termini di adeguata remunerazione.