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Quando le imprese ortofrutticole esternalizzano i lavori

Appalti in ortofrutta, attenzione a non esagerare

Le imprese del comparto ortofrutticolo, pressate dalla crisi economica, dagli squilibri di mercato e dalla competizione globale, sono sempre attente a valutare possibili soluzioni che consentano loro di incrementare la propria efficienza aumentando la produttività e abbattendo i costi.

Uno strumento che può apparire interessante, per sgravare l'operatore dalla gestione di fasi della lavorazione, è offerto da imprese di outsourcing che propongono la cosiddetta esternalizzazione o terziarizzazione di una o più parti del processo produttivo acquisendole in appalto.

Chiediamo all'avvocato Gualtiero Roveda (foto), consulente di Fruitimprese, se vi siano problematiche connesse all'utilizzo di questa tipologia di contratto, cioè laddove vengano esternalizzate lavorazioni che richiedono l'impiego di molto personale, come nel caso della raccolta, della cernita o del confezionamento dei prodotti ortofrutticoli.

"Appaltare fasi della produzione - esordisce Roveda - è assolutamente legittimo. Tuttavia, il Legislatore ha sempre considerato con sospetto i contratti d'appalto che implichino un numeroso impiego di manodopera (labour intensive), in quanto si prestano a essere utilizzati con finalità elusive della disciplina giuslavoristica. Di conseguenza, ha previsto una serie di norme a tutela dei lavoratori, la cui violazione comporta severe sanzioni.

FreshPlaza (FP): Quando l'appalto è lecito?
Gualtiero Roveda (GR): Per aversi il cosiddetto appalto genuino è necessario che possa riferirsi all'appaltatore per l'esecuzione dell'opera o del servizio l'organizzazione dei mezzi necessari, l'esercizio esclusivo del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati, l'assunzione del rischio d'impresa. In sintesi, si può dire che l'appalto deve avere per oggetto un "fare", in quanto l'appaltatore si obbliga a fornire al committente quanto dedotto in contratto realizzandolo tramite la propria organizzazione di uomini e mezzi, assumendosi il rischio d'impresa.

FP: In caso di appalto, il committente è obbligato in solido con l'appaltatore per le spettanze dei lavoratori?
GR: Sì. Il committente è solidalmente obbligato a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali dovuti per il periodo di esecuzione del contratto.

FP: Se invece l'appaltatore mette a disposizione del committente solo mera forza-lavoro cosa succede?
GR: In questo caso si ha interposizione illecita. Il Ministero del lavoro ha raccomandato agli ispettori di avere "tolleranza zero" nei confronti dei cosiddetti "pseudo appalti", considerati dallo stesso fra "le forme peggiori di sfruttamento del lavoro". Nel caso di appalto illecito sono previste sanzioni per committente e appaltatore e tutele efficaci per i lavoratori: in pratica, questi ultimi possono chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente. Se l'appalto è non solo illecito, ma anche fraudolento, cioè finalizzato a eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo, la situazione per il committente è ancora più grave, in quanto gli ispettori gli imporranno la regolarizzazione alle proprie dipendenze di tutti i lavoratori illecitamente impiegati per tutta la durata di effettivo impiego nello pseudo-appalto fraudolento.

FP: In materia di appalto gli obblighi retributivi sono corrispondenti a quelli che hanno le Agenzie di somministrazione?
GR: A differenza del contratto di somministrazione, nel quale i lavoratori hanno diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello dei dipendenti dell'utilizzatore, nell'ipotesi di appalto la determinazione delle retribuzioni minime è rimessa all'autonomia contrattuale collettiva. Si deve, tuttavia, tenere ben presente quanto è previsto dal CCNL applicato dalla committente, dalle disposizioni della Legge Finanziaria 2007 in materia di benefici normativi e contributivi e dall'orientamento giurisprudenziale che riconosce il diritto dei lavoratori di rivendicare, anche nei confronti del committente, l'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 della Costituzione. In pratica, se il committente confida di risparmiare, grazie al minor costo del lavoro dell'appaltatrice, fa male i suoi conti. Per non parlare poi del rischio di rigide misure cautelari e sanzioni penali nell'ipotesi in cui un lavoratore dovesse risultare essere sfruttato sulla base delle norme per il contrasto al fenomeno del "caporalato".