Crisi di mercato? Solo fino al giorno in cui ti svegli e ti accorgi che.. hai fatto la fine dello zucchero
Nel nuovo regime di "quote zucchero", in cui cioè ad ogni Paese è stato assegnato un quantitativo massimo di produzione da non superare, l'Italia ha rinunciato a 1.049.064 tonnellate di zucchero, passando da 1.557.443 ton prima della riforma a 508.379 ton di quota, usufruendo dei relativi aiuti alla ristrutturazione.
Contestualmente, gli zuccherifici italiani sono passati da 19 a 4, con la chiusura di ben 15 stabilimenti; di conseguenza, le superfici coltivate a barbabietola da zucchero sono scese da 250.000 a circa 50-60.000 ettari. La quota di produzione dell'Italia nella UE è passata dall'8,6% al 3,8%.
Lo scopo della riforma era stato quello di rispondere al rischio di sovrapproduzione, con conseguente crollo dei prezzi alla produzione - vi suona familiare? - e limitare la necessità di un intervento diretto da parte delle istituzioni pubbliche. Basti pensare che, fino al 2006, il prezzo di intervento dello zucchero era fissato a 631,9 €/ton. Adesso, al di sotto di certi prezzi, l'UE si limita ad un aiuto all'ammasso privato.
Morale della favola,oggi l'Italia produce solo circa il 30% del suo fabbisogno interno di zucchero, mentre Brasile e Thailandia sono i più grandi esportatori di dolcificanti del mondo, e l'India è il secondo maggior produttore (24,1 milioni di tonnellate).
Qualcosa è cambiato
Senonché, nell'ambito della riforma della Pac 2014-2020, è stata proposta l'abolizione del regime delle quote dello zucchero entro il 2017. Dal 2010, infatti, anche lo scenario del mercato mondiale è cambiato totalmente, con un'impennata considerevole dei prezzi dello zucchero, per effetto di una produzione globale inferiore ai consumi. Ecco quindi che si è verificato un fatto inatteso: il prezzo mondiale ha superato il prezzo interno.
Se la riforma sarà approvata, nei prossimi anni ci sarà la totale liberalizzazione del mercato dello zucchero e si porrà fine ad una politica trentennale di contenimento dell'offerta.
Secondo un recente studio della Rabobank International, il prezzo dello zucchero ha sì perso un 50% rispetto al picco trentennale raggiunto nel 2011, ma lo scenario generale di squilibrio tra offerta e domanda permane invariato: nella stagione 2014/15 mancheranno all'appello circa 500.000 tonnellate di zucchero e le previsioni sul fenomeno climatico de El Nino (che porterà siccità nell'area dell'Asia-Pacifico, precipitazioni più intense della norma in Sud America e che interesserà anche l'Australia) non faranno che peggiorare lo scenario.
Secondo alcuni analisti svizzeri, il gap tra domanda e offerta sarà addirittura di 2,1 milioni di tonnellate rispetto ad una stima iniziale di 239.000 ton di carenza.
Cosa ci insegna questa storia
Il mercato è una brutta bestia; è imprevedibile, spietato, non guarda in faccia nessuno. Impossibile imbrigliarlo o imporgli una direzione; ci sarà sempre una variabile che non era stata presa in considerazione e che arriva a scompaginare di nuovo tutte le carte in tavola.
Oggi siamo di fronte all'ennesima crisi del mercato ortofrutticolo e da ogni parte sentiamo piovere appelli affinché le istituzioni pubbliche intervengano, perché si fissino in anticipo prezzi e modalità delle forniture; assistiamo a reciproche accuse tra Paesi produttori, che degenerano fino ad atti di puro vandalismo, o vediamo la disperazione prendere corpo in proposte irrealizzabili, come sospendere la raccolta dei prodotti.
Qualsiasi cosa faremo potrà avere solo un effetto temporaneo; di certo la vicenda dello zucchero insegna che il giorno che si è smantellata una produzione, convinti che tanto non avrebbe mai avuto mercato, poi all'indomani ci si sveglia e si scopre che la domanda globale in aumento viene soddisfatta da qualcun altro e che il tuo Paese è stato semplicemente tagliato fuori dai giochi per sempre.
Se l'Italia è ancora leader per talune produzioni, l'unico obiettivo che deve porsi è non farsele strappare dalle mani, anzi potenziarle e investirci sopra con giudizio, per migliorarne la competitività ad ogni livello; perché sul mercato, quello vero, e non quello addomesticato da qualche cricca di turno, a vincere è sempre e solo il migliore.