"Quando parliamo di piccoli agrumi, ci riferiamo a un gruppo fondamentale per il nostro mercato. Ma se guardiamo ai numeri in Italia (dati 2025), è chiaro chi sia il vero protagonista: la clementina, che rappresenta ben il 74,7% della produzione raccolta totale di piccoli agrumi, pari a 826.690 tonnellate. Nel contesto commerciale contemporaneo, i termini 'clementine' e 'piccoli agrumi' sono spesso utilizzati in modo intercambiabile, riflettendo la percezione del consumatore e del buyer, più che una rigida classificazione botanica. La caratteristica distintiva che unifica questa categoria di prodotti è la loro praticità: l'essere 'facilmente sbucciabile' conferisce alla clementina un appeal moderno, rendendola particolarmente adatta alle abitudini di consumo attuali e attraente anche per i segmenti più giovani. Questa convenienza d'uso rappresenta un asset di marketing fondamentale su cui costruire strategie di crescita".
A intervenire durante il convegno "La Clementina di Calabria, realtà e prospettive", tenutosi all'interno del Clementina Festival (vedi articolo correlato), è stato Mario Schiano Lo Moriello, analista di mercato delle produzioni ortofrutticole di Ismea, il quale ha proposto un approfondimento sul posizionamento attuale della clementina italiana, con un focus specifico sulla produzione calabrese, all'interno del competitivo panorama europeo. "La forza dell'Italia nel settore delle clementine non è distribuita in modo omogeneo sul territorio, ma è, al contrario, massicciamente concentrata in specifiche aree geografiche. Le statistiche nazionali relative ai 'piccoli agrumi' delineano un settore di notevole importanza per l'agricoltura italiana, con una chiara dominanza della clementina".
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La centralità della Calabria
"I dati 2025 sull'Italia mostrano una superficie totale di 36.100 ettari destinata ai piccoli agrumi, con 26.968 ettari specificamente dedicati alle clementine. Circa l'81% della produzione raccolta totale è composto da clementine – ha continuato Schiano – All'interno di questo quadro nazionale, la Calabria si afferma come il baricentro produttivo nazionale, la cui performance determina di fatto la competitività dell'intera offerta italiana. La Regione produce i 2/3 di tutte le clementine italiane. Negli ultimi 10 anni, la superficie dedicata è rimasta stabile, attestandosi intorno ai 16.000 ettari. Negli ultimi 5 anni, la produzione calabrese si è assestata su circa 450mila tonnellate, pur presentando oscillazioni dovute a fattori climatici". La provincia di Cosenza (12.350 ettari) è leader nazionale, seguita a grande distanza da Taranto in Puglia (5.600 ettari) e Reggio Calabria (2.350 ettari).
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Oltre ai volumi, la Calabria esprime asset qualitativi di grande valore strategico. "La Clementina di Calabria IGP rappresenta un potente strumento di legame tra prodotto e territorio. Questo marchio di indicazione geografica protetta mostra un trend di crescita positivo e costante, con quantità certificate che hanno superato ampiamente le 10.000 tonnellate e un valore alla produzione stimato in circa 3,5 milioni di euro, confermandosi come un elemento chiave per la differenziazione sul mercato", ha sottolineato Schiano.
"Altrettanto cruciale è la leadership regionale nella produzione biologica. La Calabria detiene quasi il 60% della superficie biologica italiana di piccoli agrumi, con circa 5.600 ettari sui 10.000 totali a livello nazionale (dati Rapporto sulle IG Ismea-Qualivita del 2024). Questo primato non è solo un dato quantitativo, ma un vantaggio strategico competitivo". Schiano ha evidenziato come la certificazione biologica sia un prerequisito fondamentale per accedere a mercati ad alto valore aggiunto, come quelli scandinavi, e possa fungere da "apripista" per l'intera produzione regionale, anche quella convenzionale, qualificando l'offerta complessiva.
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Il mercato europeo: scenario competitivo e flussi commerciali
L'analisi a livello europeo è critica, poiché l'Unione europea rappresenta il principale mercato di sbocco e di confronto per la clementina italiana. Comprendere i flussi commerciali complessivi, i principali competitor e gli hub logistici è essenziale per mappare le minacce e, soprattutto, per identificare le opportunità di crescita e di posizionamento strategico.
Nel 2024, le esportazioni dell'Ue-27 sono ammontate a circa 1,4 milioni di tonnellate e per l'82% erano dirette a nazioni dell'Ue e per il 18% ai Paesi extra-Ue. Nello stesso anno, i 27 Paesi dell'Ue hanno importato circa 1,7 milioni di tonnellate di piccoli agrumi. L'80% di questo quantitativo è relativo a scambi intra-europei mentre il restante 20% a importazioni da Paesi terzi all'Ue. In particolare, gli scambi dell'Ue con i Paesi terzi nel 2024 hanno registrato esportazioni per 250mila tonnellate e importazioni per 335mila tonnellate, con un deficit di circa 84mila tonnellate. In termini di valore, il saldo dei 27 Paesi Ue è di meno 78 milioni di euro, come conseguenza di 315 milioni di euro di esportazioni e di 394 milioni di euro di importazioni.
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Il panorama dei fornitori del mercato europeo è dominato da pochi, grandi attori, ma rivela anche modelli operativi strategici. "La Spagna è il leader indiscusso del mercato, principale produttore ed esportatore mondiale, e rappresenta il benchmark con cui tutti gli altri operatori devono confrontarsi. Il Marocco è un altro produttore chiave del bacino del Mediterraneo, capace di esercitare una forte pressione competitiva. Germania e Paesi Bassi, pur non essendo produttori, svolgono un ruolo cruciale come hub logistici, importando prodotto - in particolare dall'emisfero sud - e ridistribuendolo nel resto d'Europa. Questo modello logistico non è un semplice dato di mercato, ma un vero e proprio paradigma strategico che l'Italia deve studiare e replicare per superare i limiti della propria stagionalità e trasformarsi da mero produttore a gestore di flussi di prodotto su scala europea".
Dopo aver esaminato il contesto generale europeo, Schiano si è focalizzato sulla performance specifica dell'Italia nel commercio con l'estero. Il trend recente delle esportazioni italiane di clementine è molto incoraggiante, mostrando una crescita in termini sia di quantità sia di valore. "Recentemente, gli introiti derivanti dalle vendite all'estero hanno raggiunto circa 88 milioni di euro, un dato che testimonia la capacità del prodotto di affermarsi sui mercati. Tuttavia, dal punto di vista del prezzo, si palesa una criticità strutturale: l'Italia si trova in una posizione 'subalterna' rispetto alla Spagna. Essendo quest'ultima il principale player europeo, di fatto ne determina i livelli di prezzo, costringendo gli operatori italiani ad adattarsi a un mercato che non governano".
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L'analisi mensile delle esportazioni rivela una debolezza che condiziona pesantemente la performance commerciale italiana. "Oltre l'80% delle esportazioni si concentra in soli tre mesi: novembre, dicembre e gennaio. Questa finestra commerciale estremamente ristretta limita drasticamente il potenziale di vendita e la presenza continuativa sui mercati. Non si tratta di una semplice inefficienza, ma una vulnerabilità strategica che espone la filiera italiana a shock di mercato e ne comprime il potenziale di guadagno, rendendo l'innovazione varietale non più un'opzione, ma un imperativo", ha evidenziato Schiano.
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L'Italia ha sviluppato una buona diversificazione dei propri mercati di destinazione, sebbene permangano aree di potenziale non ancora sfruttato. La Germania è il primo mercato (21%), ma con una quota inferiore rispetto ad altri prodotti ortofrutticoli, indicando una buona diversificazione. Ottima la presenza in Est Europa, con la Polonia (14%) come secondo cliente, seguita da Ungheria, Slovenia e Romania. L'Austria rappresenta una quota del 12%. Svizzera e Ucraina rispettivamente con quote del 7 e del 6% sono i principali sbocchi extra-Ue. Il Regno Unito è stato definito da Schiano come "il grande assente". "Rappresenta un'opportunità di crescita significativa, attualmente dominata dalla Spagna".
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Sul fronte delle importazioni, si registra una tendenza positiva verso una maggiore autosufficienza nazionale, con una diminuzione dei volumi importati. Le importazioni si concentrano principalmente a inizio stagione (ottobre-novembre) e a fine stagione (febbraio-marzo), quando la produzione interna non soddisfa pienamente la domanda. Il principale fornitore è la Spagna, da cui provengono i 2/3 delle importazioni totali. Nonostante ciò, la bilancia commerciale si è recentemente chiusa con un surplus di 5,3 milioni di euro, a testimonianza della competitività complessiva della filiera.
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Direttrici strategiche per la crescita futura
Sebbene il quadro generale sia positivo, la filiera della clementina italiana ha ancora un notevole potenziale inespresso. Per sbloccarlo, è necessario agire in modo coordinato su quattro direttrici strategiche fondamentali, secondo Schiano. La prima è l'innovazione varietale per l'ampliamento del calendario. "È la priorità strategica dirimente, dalla cui realizzazione dipende la capacità della filiera di effettuare un salto dimensionale. Espandere il calendario commerciale dagli attuali 3 mesi verso un orizzonte di 6, da settembre a marzo, avrebbe un impatto dirompente, incrementando drasticamente le vendite sia sul mercato interno che estero. È cruciale bilanciare la valorizzazione delle varietà tradizionali con l'introduzione di nuovi ibridi richiesti dal mercato, per evitare di rimanere spiazzati".
"L'innovazione non deve limitarsi alla genetica, ma estendersi a tutte le pratiche agronomiche. Gli investimenti in ricerca devono concentrarsi su aree critiche per rispondere alle sfide della sostenibilità e alle richieste del mercato: gestione della risorsa idrica; nutrizione delle piante; gestione della difesa, considerando la riduzione delle molecole disponibili e la domanda di mercato per residui sempre più bassi – ha continuato Schiano – È necessario, inoltre, implementare una strategia di sviluppo dei mercati a due livelli. Sul mercato interno si deve avviare una campagna di comunicazione mirata sulle proprietà benefiche delle clementine (40 calorie per 100g, vitamine C, A, B, potassio, fibre, effetto positivo dell'olio essenziale sull'umore), seguendo il modello dei produttori statunitensi di mandorle e noci che finanziano studi scientifici a supporto del marketing. All'estero bisogna concentrare gli sforzi per penetrare mercati ad alto valore e ancora poco sviluppati, con un obiettivo prioritario: il Regno Unito".
Ultima direttrice, ma non meno importante, la valorizzazione integrata di prodotto e territorio. "La forza della clementina calabrese risiede nel suo profondo legame con il territorio di origine. Questa connessione deve essere sfruttata strategicamente. Perché quindi non utilizzare le Clementine di Calabria IGP come pietra angolare delle attività di marketing territoriale? Perché non promuovere azioni di co-marketing che associno la clementina ad altre eccellenze DOP/IGP della Calabria per creare un'immagine regionale forte e unificata? Perché non sfruttare il packaging come strumento di comunicazione diretto per veicolare informazioni su prodotto e territorio e catturare l'attenzione del consumatore a scaffale?".
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L'aggregazione come prerequisito fondamentale per il successo
L'analisi condotta da Schiano ha delineato un percorso di crescita chiaro e ambizioso per la filiera della clementina italiana. Tuttavia, nessuno degli obiettivi strategici identificati - dall'innovazione varietale alla penetrazione di nuovi mercati, dalla ricerca agronomica al marketing territoriale - può essere raggiunto senza un prerequisito fondamentale: l'aggregazione.
"È imperativo che tutti gli operatori della filiera lavorino insieme. Che si tratti di fusioni aziendali, di costituzione di reti di impresa o di solide collaborazioni operative, è necessario superare la frammentazione per raggiungere la massa critica necessaria a competere su scala globale. Gli obiettivi delineati sono di medio periodo e richiedono costanza e lavoro di squadra nel tempo. Solo attraverso un'azione unificata e coordinata l'intera filiera potrà esprimere il suo pieno potenziale e cogliere le significative opportunità che il mercato offre", ha concluso Schiano.