Mea culpa, mea grandissima culpa! Ho comprato dall'estero pur potendo comprare Italia! Ma così facendo ho peccato di tradimento alla patria? Oppure ho fatto una scelta consapevole, voluta, giustificata e/o giustificabile?
Sono italiano e me ne vanto, ne vado fiero quando compro qualità, gusto, territorio, storia agricola, eccellenze regionali, varietà uniche e introvabili altrove. Eppure se con le medesime premesse mi rivolgo all'estero, ho sempre la sensazione di poter essere additato di ingratitudine verso la mia terra.
Ed allora esco dal loop tautologico dell’ultranazionalismo agricolo e mi incammino in tutta tranquillità nella scelta consapevole del prodotto migliore per qualità, continuità, selezione, lavorazione e, perché no, prezzo.
Del resto, non sarebbe uno svilimento della propria professionalità giustificare l’acquisto di importazioni solo in assenza o ridotta copertura da produzioni nazionali?
Ecco, ora che il dubbio si è innescato, o almeno spero di averlo stuzzicato, facciamo un passo indietro e decantiamo le eccellenze italiane.
Abbiamo la fortuna di vivere nel Paese con la più grande varietà produttiva al mondo di prodotti ortofrutticoli da tavola, alcuni introvabili in altre nazioni ed altri, pur se esistenti altrove, incomparabili per qualità organolettiche e gusto. Quanti buyers ortofrutticoli europei possono attingere da un paniere di referenze vario e multiforme come quello italiano e inserire in assortimento lo stesso articolo con 2 o 3 IGP o DOP o varietà o proposte diverse?
Privilegiare tutto questo non è una scelta, ma un dovere imprescindibile, un piacere, il piacere di far arrivare sui banchi dei nostri supermercati la tradizione agricola italiana, i prodotti della nostra terra, siano localismi, regionalismi o semplicemente cultivar tricolore.
Foto d'archivio (senza alcuna attinenza diretta con l'articolo)
Ma allo stesso modo, con la stessa ragion critica, con lo stesso approccio vocato all’eccellenza, posso, anzi devo, pormi di fronte a quanto il mercato europeo in primis, e mondiale a seguire, ci offre.
Un pioniere dell’industria retail nazionale disse che i supermercati hanno avuto tra i loro principali effetti quello di “democratizzare” il prodotto, ossia, semplificando il concetto, permettere al cliente nostrano di degustare il tarocco siciliano e al cliente barese di mangiare l’asparago di Altedo. Ma oggi siamo nell’era della globalizzazione e così il principio si estende al mango brasiliano, all’avocado colombiano, alle ciliegie cilene, al piel de sapo spagnolo, etc.
Allora, tornando alla premessa di queste “parole d’ortofrutta”, credo che individuare, selezionare e proporre in assortimento referenze import pur in concomitanza a disponibilità nazionali non sia tradimento ma, anzi, una dimostrazione di affetto al cliente, un riconoscimento della capacità di altre nazioni di produrre eccellenze, un gesto di autostima professionale nell’aprire la mente al mondo e a quanto offre.
La prossima estate, quando compreremo, e lo faremo, limoni dell'Argentina o del Sudafrica, piuttosto che frutti secchi e senza resa di succo dall'Italia, ricordiamoci di tutto ciò e sbandieriamo la scelta fatta con la consapevolezza del buon “buyer” familiae!
Giancarlo Amitrano, Cedigros