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"Senza valide alternative la proposta è inaccettabile"

Restrizioni fitofarmaci: tutto il settore agricolo contro l'Unione europea

Alleanza delle cooperative, Cso, Assomela e Fruitimprese non le mandano a dire e, tramite una lettera indirizzata al ministero per le Politiche agricole, esprimono una netta opposizione all'ipotesi dell'UE di diminuire drasticamente i principi attivi e il già basso uso dei fitofarmaci, il tutto senza alternative valide. La lettera è firmata da Davide Venocchi (Alleanza Cooperative), Ennio Magnani (Assomela), Paolo Bruni (CSO), Marco Salvi (Fruitimprese).  
Questo il testo integrale della lettera.

"In nome e per conto dei produttori ortofrutticoli associati, Alleanza delle Cooperative Italiane – Settore Agroalimentare - , Assomela, Fruitimprese e CSO Italy si vuole esprimere la propria posizione e dare il proprio contributo sulla proposta di Regolamento sull'uso sostenibile dei pesticidi – SUR – : un atto legislativo molto impattante, non solo per la produzione in senso stretto, sia nel medio che nel lungo termine.

Dopo un attento esame, a parere degli scriventi si tratta di una proposta di Regolamento assolutamente inaccettabile a livello generale e con ricadute drastiche sull'intera filiera produttiva ortofrutticola che mette a serio rischio la sopravvivenza delle aziende agricole e della produzione a livello europeo.

È fondamentale tenere in considerazione il contesto geopolitico sicuramente mutato rispetto a quando è stata lanciata la nuova politica del Green Deal e del Farm to Fork. Siamo ancora coinvolti dalla pandemia da Covid-19, siamo nel mezzo della guerra tra Ucraina e Russia e sempre più stiamo assistendo all'acuirsi degli effetti del cambiamento climatico, così come dalla presenza di nuovi organismi nocivi. La nuova legislazione non può non tenerne conto. In questa fase, si ritiene di non entrare nel merito dell'articolato, ma di evidenziare alcuni aspetti che già di per sé fanno ritenere l'impianto e la ratio della proposta frutto di scelte e valutazioni assolutamente lontane ed avulse dalla realtà concreta in cui quotidianamente lavorano migliaia di agricoltori italiani ed europei.

• La drastica riduzione delle sostanze attive; • L'incremento sproporzionato degli adempimenti burocratici e dei costi connessi; • La definizione di Aree sensibili dove non è possibile utilizzare prodotti fitosanitari; • La debolezza delle motivazioni scientifiche; • La assenza o carenza di stime di impatto necessarie per comprendere le conseguenze del provvedimento.

Prima di passare al contenuto, si vuole sottolineare il non opportuno ricorso allo strumento normativo del Regolamento, anziché della Direttiva. Siamo consapevoli che per certi versi la forma del Regolamento può avere determinati vantaggi (v. ad es. applicazione diretta e più omogenea) rispetto alla Direttiva, che necessita di specifici atti adottati dai singoli Stati membri per attuarne il contenuto. In questo caso però, considerata la particolarità della materia che si intende regolamentare, che per sua caratteristica e peculiarità deve necessariamente considerare le specificità e differenze di ciascuno Stato Membro, dei settori e delle aree produttive, un orientamento verso l'aggiornamento della direttiva vigente appare, oggi a maggior ragione, una strada da privilegiare.

Anche dal punto di vista formale la proposta appare, quindi, inadeguata.

Ritornando nel merito, la drastica riduzione delle sostanze attive non è oggettivamente ed economicamente sostenibile., senza avere a disposizione valide ed efficaci alternative che possano essere applicate su larga scala. Inoltre, a nostro parere, le richieste e le conclusioni devono essere scientificamente supportate da dati oggettivi, anche riguardo alla correlazione tra salute ed impiego di fitofarmaci, o da valutazioni di impatto affidabili a livello tecnico, agronomico ed economico.

Stando a fonti ancora non ufficiali, all'Italia sarebbe richiesta una riduzione di ben il 62% dei prodotti fitosanitari chimici, senza chiare basi scientifiche. Se confermato, tale obiettivo apparirebbe immotivato e fortemente penalizzante per l'Italia, che vedrebbe le proprie aziende ortofrutticole esposte ad inaccettabili rischi tecnici ed economici.

Va tenuto in considerazione che in Italia, fin dagli anni '90, gli agricoltori sono fortemente impegnati nella riduzione dell'utilizzo dei prodotti chimici, tanto che in molti areali di produzione l'applicazione delle tecniche a basso impatto ambientale, come la produzione integrata o il biologico, ha raggiunto oltre il 90%, con margini di sicurezza assolutamente significativi testimoniati da livelli di residui ampiamente inferiori ai limiti normativi. Tutti questi sforzi vanno tenuti in considerazione e portati a valore. Parallelamente devono essere disponibili valide alternative, facilmente reperibili e con costi proporzionati. Il mondo della produzione è fortemente impegnato nella difesa dell'ambiente e, tra le altre soluzioni, cita e sostiene le nuove tecniche genomiche, come valide alternative all’utilizzo di prodotti chimici più pericolosi. Al momento però i prodotti di tali tecniche sono vietati da una legislazione europea più aperta alle ideologie che vicina alle esigenze pratiche dei produttori e dei cittadini.

Una ulteriore conseguenza della drastica richiesta di riduzione dell’uso di sostanze chimiche è la rinuncia delle Ditte produttrici ad investire sulla ricerca di nuovi principi attivi, anche per colture considerate minori. La diretta conseguenza è quella di far scomparire determinate colture tipiche di certi aerali di produzione. Basti pensare al pero, alla carota o alla patata in Emilia Romagna, che si ritrovano ad essere attaccati da nuovi organismi nocivi, ma senza più nessun mezzo efficace per contrastarli. Questo per dire che se la Commissione persevera sulla linea proposta, potrebbe mettere a serio rischio la produzione europea di ortofrutta, con tutto quello ne consegue sulla filiera, sul tessuto sociale, fino al consumatore finale, non ultimo la probabile posizione di svantaggio dei nostri prodotti rispetto a quelli di importazione, qualora, al contrario della situazione attuale, le stesse misure non venissero applicate all’ortofrutta proveniente da Paesi extraeuropei.

Un altro aspetto sul quale si porta l’attenzione riguarda l’incremento sproporzionato degli adempimenti burocratici, sempre a carico dei produttori. Nel contesto attuale non si trova spazio per creare altre “sovrastrutture”, sia in termini di tempo che di costi diretti ed indiretti, altresì per un fine che non è ben chiaro. Si rammenta che la sostenibilità non è solo quella ambientale, ma è, e prevalentemente quella sociale ed economica. Con tutti gli adempimenti richiesti gli agricoltori rischiano di passare il loro tempo in ufficio e non nei campi e senza reddito. Per non parlare delle “nuove Agenzie o Enti” che dovranno gestire ed elaborare i dati ed i registri. Anche questo aspetto è assolutamente da rivedere in maniera realistica e portando a valore quanto è già esistente.

Infine, è utile rimarcare la scarsa chiarezza della definizione di Aree Sensibili con tutto quello che ne comporta: in primis il divieto assoluto di utilizzo esteso a tutti i prodotti fitosanitari. Ad una prima ma incerta definizione, in Italia si avrebbe una buona parte delle aree coltivate comprese nella definizione di area sensibile. Un divieto totale appare eccessivo ed anzi potrebbe contribuire allo sviluppo non controllato di organismi nocivi. In questo caso, sarebbe più opportuna una disposizione che consenta una valutazione specifica che includa ad es. l'identità geografica, i sistemi di produzione consentiti e la presenza di malattie e parassiti.

In conclusione, la attuale proposta di Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi è inaccettabile sia dal punto di vista formale che sostanziale e si chiede che sia completamente rivista e riformulata, su basi scientifiche solide, con stime di impatto adeguate, facendo ricorso al dovuto senso di responsabilità - Istituzioni incluse - per garantire innanzitutto la necessaria vitalità economica da cui consegue una effettiva salvaguardia dell’ambiente e per garantire disponibilità di prodotti italiani ed europei controllati, garantiti e sicuri a prezzi equi per i consumatori.

Si ribadisce e conferma l’impegno per continuare a produrre in sicurezza salvaguardando l’ambiente ed il territorio e, per facilitare questo percorso, si chiede-di essere maggiormente coinvolti nei processi decisionali che possono avere ricadute significative sul mondo della produzione.