L'internazionalizzazione delle imprese è fondamentale per la crescita della filiera ortofrutticola italiana che, per uscire dal segmento delle produzioni di massa, deve puntare sulla qualità intesa come valore, marca e reputazione.
Non fa eccezione il settore dell'uva da tavola che, come indicato da Ismea nel 2020, è fortemente orientato all'export. In conseguenza di ciò, l'equilibrio economico del settore dipende fortemente dalla domanda estera. I dati Istat dicono che, in termini di saldo della bilancia commerciale nazionale, tra le diverse specie di frutta le uve da tavola, con circa 600 milioni di euro, figurano al secondo posto, precedute soltanto dalle mele che, nel 2019, vantano un attivo di 713 milioni di euro. Si consideri, a tal riguardo, che a livello mondiale le importazioni di uve da tavola muovono circa 4,8 milioni di tonnellate di prodotto, per un controvalore di 8.900 milioni di euro.
Gli USA sono il primo importatore, con una quota del 18% in valore, seguiti da tre nazioni europee: Paesi Bassi (10%), Germania e Regno Unito (7%). Tra i Paesi esportatori, l'Italia si colloca al sesto posto a livello mondiale con spedizioni per circa 635 milioni di euro, preceduta, tra gli altri, dagli USA e dal Perù, ma è il principale produttore europeo. Sul fronte della qualità, attualmente l'offerta italiana è ancora incentrata su "varietà storiche" come Victoria, Palieri, Italia e Red Globe e presenta una disponibilità di nuove varietà di uve seedless che, sebbene in progressivo aumento negli ultimi anni, risulta ancora non adeguata alla domanda.
Per questo motivo, le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai Paesi produttori emergenti che sono in grado di guadagnare quote sui principali mercati di sbocco grazie a uve di elevata qualità, ben presentate e offerte a prezzi competitivi. E questo ci porta al punto iniziale: puntare su valore, marca e reputazione.
Nel contesto, bisogna comprendere meglio come si articolano i rapporti tra produzione e commercializzazione; dall'altra parte, tra commercializzazione e distribuzione, in un contesto che vede negli ultimi anni una tendenza crescente verso le apirene. A conferma dei dati Ismea in Sicilia (con qualche eccezione negli areali IGP dell'uva di Mazzarone) la quasi totalità è coltivata con le varietà tradizionali, uva Italia in testa. Diversa è la situazione in Puglia - l'altro polo produttivo dell'uva da tavola nazionale - dove da diversi anni sono aumentate progressivamente le superfici di seedless. Nella programmazione e pianificazione dei territori produttivi risiede, dunque, la collocazione del prodotto italiano sui mercati esterni nel futuro prossimo.