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Un intervento di Alessandra Ravaioli, presidente Associazione Nazionale Donne dell'Ortofrutta

Ortofrutta e sostenibilita': biologico si', ma non basta piu'

In occasione della terza edizione dell'Osservatorio Freschissimi (evento che ha lo scopo di informare, aggiornare e riunire i soggetti che ruotano intorno al comparto freschissimi della GDO, andando oltre la semplice raccolta e diffusione di dati raccolti attraverso le analisi di mercato), ha partecipato tra i relatori anche Alessandra Ravaioli, Amministratrice Unica di RP Circuiti Multimedia e fondatrice dell'Associazione Donne dell'Ortofrutta, di cui è Presidente.

Con 107 associate, 90 aziende aderenti, 23 ambiti di filiera inclusi e 21 rappresentanti in tutte le regioni italiane, l'associazione, fondata nel dicembre 2017 a Bologna e che costituisce un unicum a livello europeo, promuove una visione "al femminile" dell'ortofrutta, che può riassumersi in attenzione al consumatore, eleganza, cura dei dettagli, sensibilità.

Ravaioli ha ricordato i programmi dell'Associazione: crescere e far nascere idee e opportunità, raggiungere i territori italiani con rappresentati locali; collaborare con altre associazioni di donne di altre filiere.

Tra i progetti, c'è anche quello di co-branding, in cui cioè il marchio dell'Associazione figura accanto a quello di aziende socie, in attività condivise. Tra i marchi affiancati: Foen (per la cosmetica naturale - cfr. precedente news), Citrus (per sostenere la ricerca sul cancro), Uvitaly (a sostegno dell'assistenza nutrizionale nell'ospedale di Bari).

L'Associazione, come ha spiegato il presidente, intende proseguire la collaborazione con comunità di donne di paesi poveri, portando idee e innovazioni, come già sta accadendo per il Progetto Moringa in Africa".

Parole come mantra: l'agricoltura sostenibile
"Ritengo - ha espresso Ravaioli nel suo intervento - che ripetere certe parole come hashtag, ci allontani a volte dall'analisi profonda del loro significato. Analizzando la definizione di agricoltura sostenibile, troviamo che è tale la pratica agricola non solo rispettosa delle risorse naturali (acqua, fertilità del suolo, biodiversità), ma anche socialmente attenta alla condizione dell'uomo in termini globali ed economicamente redditizia per gli agricoltori. Detto questo, la domanda è se una tale agricoltura sostenibile esista o meno".

Secondo Ravaioli, in Italia, fino alla fine degli anni 60 l'azienda agricola a seminativo rappresentava un buon esempio di economia circolare: si producevano gli alimenti per gli animali e loro producevano il concime che fertilizzava i campi.

L'innovazione, la meccanizzazione, la chimica in agricoltura, così come la necessità di competere sui mercati sempre più complessi hanno portato a una sempre maggiore intensificazione produttiva e alla necessità di aumentare rese e produttività per ottenere margini ottimali. "Oggi, però, è sempre più evidente che il modello tradizionale produttivistico sia insostenibile e si sta cambiando rotta. L'importante - rimarca Ravaioli - è non banalizzare le scelte e farsi capire dal consumatore".

Biologico sì, ma non basta più
Gli ultimi dati relativi alla spesa per alimenti biologici in Italia (2,5 mld di euro, pari al 3% del valore dell'agroalimentare, con una crescita nel 2019 pari all'1,5% e l'ortofrutta come categoria trainante) evidenziano una sostanziale maturità del settore, che in 10 anni ha conquistato ampi spazi nel display dei supermercati.

Ravaioli: "L'ortofrutta biologica non basta più. Rischia di diventare un prerequisito e di perdere marginalità. La chiave del marketing non può ridursi a una demonizzazione delle produzioni intensive, anche in considerazione del fatto che i fabbisogni alimentari mondiali aumenteranno del 70% nei prossimi vent'anni. La sostenibilità non può fermarsi pertanto alle tecniche dell'agricoltura biologica, ma è un concetto molto più ampio, che tocca la produzione a tutto tondo".

La presidente ha menzionato uno studio del Barilla Center sulle best practices per la sostenibilità: esso mette chiaramente in evidenza che occorre una visione olistica della sostenibilità, che includa aspetti che vanno dalla lotta alla povertà, all'uso di energia pulita, al consumo responsabile.

Un momento dell'intervento di Alessandra Ravaioli

"Nella classifica 2018 sui risultati del Food Sustainability Index, l'Italia figura solo al 23mo posto; segno che c'è ancora molto da fare. E' importante pensare a un approccio circolare, in cui ciò che si produce non lasci un'impronta ambientale. A tal fine occorre favorire: la circolarità delle pratiche agronomiche, la difesa del suolo dall'erosione, etc. Occorre un piano nazionale a sostegno di queste scelte".

Il modello produttivo italiano
L'Italia deve investire per realizzare un modello produttivo dalle peculiarità uniche e identificabili. Le grandi estensioni organizzate, tipiche dell'agricoltura spagnola, non potranno mai essere realizzate, in Italia.

"Per struttura delle aziende, dimensione, costo del lavoro, l'Italia è diversa dalla Spagna. Noi dobbiamo perciò puntare sull'eccellenza. Nei frutteti, è fondamentale rispettare la biodiversità e incrementarla, come avviene nei pereti della Pera IGP dell'Emilia Romagna, dove si inseriscono varietà antiche, che servono come impollinanti. Inoltre occorre migliorare la qualità del terreno e, di conseguenza, la qualità del cibo prodotto mediante pratiche tradizionali, come l'agricoltura a bassa lavorazione, l'utilizzo circolare delle biomasse, la tutela della biodiversità, fino al riutilizzo del packaging, come nei modelli di circolarità di cui i sistemi di pooling costituiscono un esempio".

"Insomma - ha concluso Alessandra Ravaioli - bisogna guardare a un modello che può essere definito agro-ecologia: un sistema alternativo, completo e che coinvolge economia, cultura, sistemi naturali, ambiente. Un approccio innovativo, che guarda al futuro!"