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Made in Italy cresce con lavoro stranieri: 25.000 gli imprenditori che versano oltre 6 miliardi allo Stato

Chi non vede di buon occhio lo "straniero" che arriva in Italia dovrà ricredersi di fronte a questi numeri: le loro imprese agricole e alimentari attive nel nostro Paese creano ricchezza, versando nelle casse dello Stato oneri fiscali (6 miliardi) e previdenziali (5 miliardi) per un totale che supera gli 11 miliardi di euro. Il loro apporto, in termini di specializzazione e innovazione, li rende ormai indispensabili, all'interno del tessuto imprenditoriale, per garantire la tenuta e la crescita produttiva del Made in Italy agroalimentare tradizionale e di qualità in tutto il mondo.

Questi i primi dati emersi nel corso della giornata di apertura dell'VIII Conferenza economica promossa dalla Cia-Agricoltori Italiani, in corso a Bologna fino a oggi, venerdì 31 marzo.



"Oggi - è stato evidenziato nell'analisi della Cia - un'azienda agricola italiana su tre conta almeno un lavoratore nato altrove, in molti casi (25.000 unità) è anche l'amministratore dell'impresa. In un contesto caratterizzato da un fermo nel ricambio generazionale nei campi (sotto il 7%) e con i titolari d'azienda italiani con un età media superiore ai 60 anni, c'è il rischio concreto di un dimezzamento degli addetti nel settore, entro i prossimi 10 anni. Un pericolo che può essere scongiurato anche con l'ingresso di stranieri in agricoltura. Un'evoluzione, già in atto, testimoniata dai dati sugli occupati nel settore che parlano di 320mila stranieri impegnati di cui 128mila extracomunitari, tra stabili e stagionali".

Questo scenario si colloca all'interno di un'Europa che registra analoghe dinamiche. Rapide evoluzioni socio-economiche che vanno governate al meglio. Da qui la proposta della Cia-Agricoltori Italiani a cui ha dato voce il presidente nazionale, Dino Scanavino. "E' necessario - ha spiegato il numero uno della Cia - creare un nuovo modello di sviluppo per l'Europa dei Popoli basato su cinque pilastri".

Partendo dalla scelta di:
  1. Alimentare un'economia competitiva e sostenibile;
  2. Combattere la povertà attraverso investimenti nelle aree rurali, lì dove l'inclusione degli immigrati oltre che possibile è utile e necessaria;
  3. Finanziare la ricerca e l'innovazione;
  4. Valorizzare le esperienze vincenti in agricoltura;
  5. Lavorare per una Ue meno burocratica, più solidale e coerente nei comportamenti dei vari Stati membri.
Il settore primario, pur tra molte difficoltà strutturali, fattura dai campi 57,6 miliardi di euro nel nostro Paese dando lavoro a circa 1,2 milioni di addetti. In Europa sono attive 14 milioni di aziende agricole che impegnano oltre 30 milioni di lavoratori. L'agricoltura, in questo senso, è un asset irrinunciabile guardando al futuro del tessuto sociale ed economico dell'Italia e dell'Unione europea.
Data di pubblicazione: