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Il parere di Leonardo Odorizzi sulle distorsioni del sistema

Concorrenza polacca discutibile e la vendita di mele bio sfuma

Se quelli di "Report" vedessero le mele stoccate in questi capannoni fatiscenti, col tetto in eternit in cattivo stato, con bins in legno ricettacolo di polveri, funghi e patogeni, con la terra battuta come pavimento, e ciarpame ovunque, di certo realizzerebbero un servizio. Solo che tale immagine poco bucolica non è italiana, ma polacca, Paese dell'Unione europea primo produttore di mele. E il prodotto delle foto è classificato come biologico.


Prodotto biologico polacco stivato in maniera ben poco... ecologica

Leonardo Odorizzi, titolare con il fratello di un'azienda di commercializzazione di frutta fra Trentino e Veneto, ci fornisce queste foto e racconta ai lettori di FreshPlaza di questi fenomeni che rappresentano sempre più la normalità delle pratiche commerciali che trova giustificazione dietro la scarsità di merce disponibile sul mercato italiano, importando prodotti dall'estero.

Quello che fa arrabbiare Odorizzi e i tanti imprenditori come lui, è il fatto che un'azienda come la sua riceve decine di controlli e ispezioni durante tutto l'anno, proprio per evitare gestioni della filiera così assurde come si vede in foto. Invece, importando a basso costo prodotto come queste mele, qualche operatore commerciale italiano se ne lava le mani, dà una incipriata al prodotto che appare in tutto il suo splendore, mentre l'origine è come si vede dalle foto.


L'ufficio di Odorizzi dedicato alla burocrazia (e non comprende la fatturazione)

Odorizzi sa bene che le triangolazioni commerciali non solo sono consentite, ma spesso indispensabili. Però punta l'indice contro l'abitudine ormai consolidata di sfruttare le importazioni a basso costo per livellare i prezzi verso all'ingiù, per soddisfare le richieste di prezzi lowcost della GDO che non sanno più come riempire i volantini della settimana".

"In questo modo – aggiunge l'imprenditore – non si otterrà mai la giusta remunerazione per i produttori italiani, perché i loro costi di produzione, gestione, burocrazia, analisi, controlli saranno sempre almeno il doppio di chi gestisce come si vede dalle foto.
Certo, la maggior parte delle filiere estere non è così ma rimane il problema dei costi che sono inferiori fino al 70% rispetto all'Italia" (449 euro al mese per un operaio polacco –contro i 1254 italiani – fonte IlSole24ore)

Odorizzi ribadisce una proposta alla quale non è nuovo: servirebbe un prezzo equo per ogni articolo che parta dal costo di produzione. Non un'imposizione, ma una lista a cui fare riferimento. Ma se non è obbligatorio, nessuno la seguirà mai, si potrebbe obiettare. Forse sì, ma c'è una grande forza che potrebbe spingere a seguire la "tabella prezzi dell'equità": quella del consumatore. Se quest'ultimo fosse reso consapevole di ciò, basterebbe ben poco a ottenere sempre un prezzo equo. Perché ciò non avviene? Ovviamente perché non tutti nella filiera ci credono. E poi manca organizzazione.


Kiwi dalla Grecia: già costano poco, qui sono pure in offerta speciale

"Anche in questa foto (vedi qui sopra) – aggiunge Odorizzi – si vede kiwi greco venduto in una catena di supermercati. Siamo in fase di commercializzazione del prodotto italiano, ma ci facciamo concorrenza con quello estero che ha costi di produzione minori. Il tutto per quei 15 o 20 centesimi di differenza che invece il consumatore italiano sarebbe disposto a spendere per un prodotto nazionale. Proprio quei pochi centesimi che rappresenterebbero la sopravvivenza per il produttore".