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La moria del kiwi avanza verso il nord-ovest

Oltre 300 partecipanti all'incontro tecnico sulla moria del kiwi organizzato dalla Fondazione Agrion di Manta (CN), venerdì 18 novembre 2016. Questa folta partecipazione è un chiaro segnale di quanto tale nuova problematica stia preoccupando produttori, tecnici, ricercatori e istituzioni locali. E' un fenomeno in rapida espansione, imprevedibile e irreversibile e non ha un nesso causale ben determinato.

Dopo aver imparato a convivere con il batterio PSA (responsabile della batteriosi dell'actinidia) si presenta una nuova minaccia, la cosiddetta moria del kiwi che al momento ha già colpito oltre 1000 ettari in Veneto e 150 ettari in Piemonte.



Ballari Giacomo, presidente Agrion, apre l'incontro: "Agrion vuole essere la casa delle imprese per capire le necessità e costruire delle risposte insieme. Si sta purtroppo diffondendo questa nuova grave fisiopatia del kiwi, ma con la collaborazione di tutti dobbiamo capire come agire e proteggere questa coltura importante per il nostro territorio".

Graziano Vittone, tecnico Agrion responsabile del coordinamento dei tecnici delle organizzazioni di produttori, ha illustrato la sintomatologia e la diffusione della fisiopatia in Piemonte: "Analizzando l'apparato radicale delle piante colpite si osserva la completa disgregazione delle radici e l'assenza di peli radicali, il che porta all'arresto della funzionalità dell'intera pianta. Il fenomeno si manifesta inizialmente in punti precisi dell'actinidieto, ad esempio nelle zone vicine alle colture irrigate per scorrimento".




Le condizioni pedologiche, la tessitura, la sistemazione del terreno, la tipologia di irrigazione e il fabbisogno idrico sono tutti aspetti che devono essere considerati.

Luca Nari, tecnico Agrion, continua: "Per il momento si può dire che è fondamentale non creare condizioni di asfissia radicale che si ripercuote sia sull'ossigenazione delle radici sia sulla vitalità dei microrganismi. Da un indagine svolta nell'estate 2016 è emerso che l'acqua apportata negli actinidieti colpiti è da 2-2,5 volte superiore alla quantità effettivamente necessaria; ciò evidenzia la necessità di imparare a gestire l'irrigazione che rappresenta un fattore determinante, ma non il solo. Ci sono infatti ancora molti aspetti da approfondire e chiarire".


Moria del kiwi: inizio appassimento delle piante.

Chiara Morone, Settore Fitosanitario della Regione Piemonte, e Laura Bardi del CREA Piemonte hanno illustrato la risposta fisiologica della pianta ai fattori di stress idrico-ambientali. Chiara Morone ha evidenziato come le anomalie climatiche, in termini di andamento delle precipitazioni e delle temperature registrate da maggio a ottobre, dell'ultimo biennio potrebbero aver inciso sulla fisiologia della pianta, che è molto sensibile alle alternanze termiche. Ad esempio, il numero di giorni di scarto di temperatura >18°C, da maggio a settembre, è passato da 23 nel 2012, 18 nel 2015 a 45 nel 2016.

"Se l'abbiamo sempre fatto, adesso non possiamo più farlo, intendo il non preoccuparsi della regimazione delle acque, della fertilità e dello stato di ossigenazione del suolo – conclude Morone - l'actinidia sta presentando il conto prima di altre colture poiché reagisce malissimo a questi cambiamenti climatici e potrebbe essere la prima specie a doversi adattare a essi. D'altra parte abbiamo già visto qualche segnale anche su susino e nocciolo, con caduta repentina delle foglie e trasparenza della chioma, che in assenza di marciume, fanno presagire una fisiopatia simile a questa della moria".

E' seguito poi l'intervento di Laura Bardi, la quale ha spiegato la fisiologia delle radici e cosa succede in caso di eccesso idrico nel suolo, in particolare, il ruolo importante svolto dai microorganismi della rizosfera e dell'ossigenazione del suolo.


Radici in condizioni di asfissia. Il colore viola è sintomo di mancanza di ossigeno.

Silvio Pellegrino, direttore di Agrion, sottolinea: "Grazie alla collaborazione tecnico-scientifica con l'istituto fitosanitario regionale è stato escluso con certezza che si tratti di una malattia veicolata da insetti o patogeni come la batteriosi, pertanto si può affermare che non c'è un nemico da combattere, ma un problema agronomico da affrontare".


Moria del kiwi: impianto collassato.

Lorenzo Tosi, Agrea di Verona, ha presentato l'esperienza del Veneto, dove il problema è iniziato nella zona ovest (area Lago di Garda) di Verona con qualche ettaro nel 2012, 70-100 ettari nel 2013, 500-600 nel 2014 per arrivare nel 2016 con oltre 1000 ettari colpiti. Visto il ruolo chiave del suolo, i tecnici hanno osservato che la fitopatia non si è manifestata nella zona orientale, dove il suolo ha una composizione e un'origine diversa rispetto a quella della zona ovest. I due terreni differiscono nella tessitura: i suoli in cui si è manifestata la fisiopatia hanno il 50-60% di limo (che ha un'azione impermeabilizzante) rispetto al 20% dei suoli ad est.

"Poiché nei frutteti colpiti le piante, anche quelle apparentemente asintomatiche, sono destinate a collassare, stiamo lavorando sui nuovi impianti – spiega Tosi – seguendo alcune pratiche agronomiche quali baulature alte (min. 50 cm), impiego di sostanza organica e irrigazione controllata con l'impiego di tensiometri".


Foto di Lorenzo Tosi.

Alessio Galoppini, agronomo della zona di Verona, continua: "Dopo un anno di osservazioni nelle parcelle baulate con apporto di sostanza organica, in questo caso compost, trapianto con rispetto del colletto, irrigazioni solo quando servono, le piante di kiwi mostrano uno sviluppo decisamente migliore delle parcelle trattate con la tecnica tradizionale".


Foto di Lorenzo Tosi.

Tosi conclude: "A parità di età di impianto, laddove nel mese di luglio irrigavamo con 6 litri/pianta ogni 3-4 giorni, i produttori utilizzavano da 10 a 20 litri/pianta ogni giorno, pertanto il problema della sovra-irrigazione è assolutamente da correggere. Inoltre, fra i diversi aspetti che stiamo valutando, vogliamo anche studiare se la popolazione microbica cambia in un terreno con piante colpite rispetto a quello con piante sane".

L'incontro è terminato con alcune indicazioni da parte di Vittone. Negli impianti ubicati in zone a rischio o che presentano alcune piante collassate in zone ben definite e sensibili è importante la valutazione ponderata dei volumi irrigui e delle condizioni dell'apparato radicale, eseguire l'erpicatura dell'interfila e assolcatura centrale, mantenere un numero adeguato di rami in rapporto all'effettiva attività potenziale delle radici e impiegare oculatamente i prodotti fitoregolatori; inoltre negli impianti in atto asintomatici procedere con apporti di sostanza organica e mantenere un'adeguata aerazione del suolo.



Per i nuovi impianti, bisogna prima di tutto procedere all'analisi chimico-fisica del suolo, poi preparare adeguatamente il terreno con apporti organici, baulature e sovescio e infine predisporre il sistema di irrigazione in modo tale da soddisfare correttamente i fabbisogni effettivi della specie a seconda della natura del terreno.

Le presentazioni sono online: www.agrion.it