TPP nei guai anche in Giappone, a rischio ratifica-lampo
Lo stop è venuto dopo una serie di gaffe di Yamamoto. Il 18 ottobre scorso il ministro, partecipando a un'iniziativa del Jiminto, aveva suggerito al presidente della commissione competente della Camera bassa, Tsutomu Sato, di far passare "a forza" la legge ratifica. Questa dichiarazione fu bollata come antidemocratica dall'opposizione. Ma Yamamoto, non contento, ieri sera ha pensato bene di tornare l'argomento e ha detto, secondo quanto hanno riferito i media: "Mi hanno fatto quasi dimettere perché ho fatto una battuta". Questa mancanza di tatto ha suscitato una rivolta nell'opposizione in commissione, che parla di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del ministro, di cui chiede le dimissioni. E, nonostante le scuse trasmesse dal capo di gabinetto Yoshihide Suga ("Il ministro è profondamente dispiaciuto di quanto ha detto"), il voto che sembra quasi certo è saltato.
Il voto oggi in commissione e venerdì in plenaria, avrebbe permesso anche l'approvazione definitiva entro la fine dell'anno, un'ulteriore pressione sugli americani. E' infatti a Washington che il TPP appare principalmente a rischio. Il presidente Barack Obama sperava di farlo approvare entro la fine del suo mandato. Ma questa possibilità ormai non pare più plausibile, tanto che ci sono anche speculazioni secondo le quali gli altri 11 paesi firmatari del TPP, tra i quali il Giappone, possano procedere senza gli Usa.
Intanto, a godere dei passi falsi dell'accordo, è la Cina. "Tutti stanno cominciando a leccare i piedi ai cinesi", ha spiegato a Politico Bill Reinsch, studioso presso lo Stimson Center ed ex presidente del National Foreign Trade Council. Il riferimento appare essere al presidente filippino Rodrigo Duterte che, nonostante la firma da parte del suo predecessore del TPP, sta scostando verso Pechino l'asse delle sue alleanze. Un altro segnale è venuto poi dalla Malaysia, il cui primo ministro Abdul Razak è in visita in Cina e oggi ha firmato l'accordo per acquistare da Pechino quattro navi da guerra.