Nuovi sistemi d'impianto: come le 'geometrie' dei frutteti influenzano la produzione
Davide Neri, attuale direttore del Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma.
Difatti oggi lo sviluppo delle tecniche di allevamento e la coltivazione sempre più intensiva hanno messo in mano ai produttori diverse 'geometrie' con cui realizzare il proprio frutteto: a fusetto, a candelabro, a 'V', a palmetta, a vaso. Sistemi che possono essere più o meno alti, fino ad arrivare al vaso catalano che si alza poco da terra.
Il tavolo dei relatori ieri a Faenza.
Forme d'impianto diverse hanno tuttavia effetti diversi a seconda della specie da frutto. Così il convegno del CRPV è stato l'occasione per mostrare i risultati dei test condotti da Università e centri di ricerca per individuare il nesso tra la 'geometria' e la produttività di pesco, susino, albicocco e ciliegie.
Pesco
Nel caso del pesco, l'Università Politecnica delle Marche ha analizzato le performance di 4 differenti sistemi d'impianto in altrettante aziende agricole: a palmetta, a candelabro, a vasetto e a fusetto.
"Negli impianti a fusetto e a palmetta - ha spiegato ieri Giorgio Murri, dell'Università Politecnica delle Marche - la produzione è abbastanza simile, rispettivamente 420 e 430 quintali di frutta per ettaro, e la metà dei frutti raccolti aveva calibri commercialmente interessanti. Nel candelabro la percentuale di calibri commerciali era maggiore, mentre era strano il dato del vasetto: solo 34%. Ma attenzione allo scarto, perché se le performance del palmetto sono interessanti, va anche detto che il 30% sono scarti. Più bassa la produzione di pesche nel candelabro, 250 quintali per ettaro, ma di qualità superiore, come è superiore il grado brix: 2 gradi in più i quanto ottenuto con un fusetto o con un vasetto".
Giorgio Murri, dell'Università Politecnica delle Marche.
Nel caso del pesco è stato sottolineato un altro aspetto comune a tutte le forme d'impianto: "Più ci si allontana dall'attacco del ramo, ossia più il frutto è distale - ha concluso Murri - peggiore la qualità del frutto".
Susino
Anche nel caso del susino sono state testate 4 diverse forme d'impianto, stavolta però dal CRPV: vaso ritardato, palmetta, fusetto e la forma a 'V'. In tutti e 4 i casi la cultivar era Angeleno, su portinnesto Mirabolano.
Il tavolo dei relatori nel convegno di ieri dedicato alla sostenibilità dei nuovi sistemi d'impianto, a Faenza (RA).
Alla seconda foglia, ha spiegato Daniele Missere, del CRPV, "il fusetto era già vicino alla piena produttività, con 341 quintali per ettaro, mentre alla terza foglia si è arrivati a 563 quintali per 45 kg per pianta. Il vaso ritardato, grazie agli ampi spazi che ha a disposizione (in un ettaro ce n'erano 440 piante, contro ad esempio le 1550 del fusetto e le 1330 della forma a 'V'), si è espanso velocemente con alte rese, fino ad arrivare a 1.000 quintali per ettaro al terzo anno. La forma a 'V' ha invece raggiunto i 58 chili per pianta per 773 quintali per ettaro".
Daniele Missere, del CRPV.
Nel caso del susino, alle prove in campo sono seguiti anche test per vedere la qualità al gusto della frutta, constatando che le susine prodotte a fusetto erano meno acide, meno consistenti e con più zuccheri, dalla maggiore intensità aromatica fruttata e con una polpa soda, croccante e succosa. Di qualità inferiore invece le susine prodotte dal vaso ritardato.
Il pubblico presente al convegno CRPV sulla sostenibilità dei nuovi sistemi d'impianto.
Com'è stato nel caso delle pesche, anche per le susine si può dire che c'è susina e susina in base a dove, in una stessa pianta, la raccogli. "Nel fusetto - ha chiuso Missere - in alto abbiamo trovato i frutti più piccoli, più sodi, più dolci e più acidi. Nella mediana c'erano quelli più grandi, mentre in basso quelli più teneri e meno acidi".
Ciliegio e albicocco
Negli ultimi anni, per queste due frutticole, "stiamo andando verso una produzione sempre più intensiva, grazie a nuovi portinnesti, nuove forme d'innesto, nuove tecniche di potatura e nuove varietà ad alte rese produttive", ha spiegato Vincenzo Ancarani, del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna. Ancarani ha studiato la produttività di ciliegie e albicocche mettendo a confronto 4 tipi diversi di impianto: a vaso ritardato, a palmetta, a fusetto e a forma a 'V'.
Vincenzo Ancarani, del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna.
Parlando di albicocche, "nel caso della palmetta - ha spiegato - la maggior parte della produzione, il 48,5% era nella parte alta della pianta, mentre il 30,1% era nella parte più bassa, con frutti, superiori ai 45 millimetri di calibro. Diversa la proporzione nel fusetto dove la maggior parte dei frutti era sulla fascia media, dove c'era il 39,9% delle albicocche. Nella parte bassa c'erano meno frutti, ma di dimensioni maggiori".
Nel caso delle ciliegie, le forme d'impianto studiate sono state invece il multiasse, il palmetta (in questi due casi la varietà era Lapis) e l'asse colonnale (testando sia la Kordia che la Ferrovia). "Nel primo caso - ha ripreso Ancarani - abbiamo constatato una certa disomogeneità lungo l'asse, mentre nel secondo caso abbiamo visto come la maggior parte delle ciliegie fosse nella parte mediana della pianta e come la maggior parte fosse sotto i 28 millimetri di diametro. Nel multiasse invece abbiamo visto come la pezzatura fosse superiore ai 28 millimetri tanto nella Kordia che nella Ferrovia".