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Per lo sviluppo dell'export, Bruxelles non puo' essere un'incompiuta

Renzo Piraccini: per crescere occorre ridurre i costi, e aggregarsi per progetti condivisi

Cavaliere al merito della Repubblica, direttore generale di Apofruit, presidente del Consorzio Almaverde Bio Italia e della cooperativa CPR System, Renzo Piraccini rappresenta una figura di riferimento nel settore ortofrutticolo nazionale. FreshPlaza lo ha intervistato in esclusiva.



FreshPlaza (FP) – Presidente, come vede in generale il settore ortofrutticolo?
Renzo Piraccini (RP) - Parlando in generale, si corre sempre di dire cose scontate e banali. Per quanto riguarda le filiere dei prodotti destinate al mercato interno, siamo complessivamente a posto. Il settore, con la crisi, si è rafforzato. Una serie di imprese, più in difficoltà, in questi anni hanno chiuso e chi è rimasto nel mercato ha più professionalità e solidità.

Il vero problema del settore è ancora la scarsa propensione all'export, che oggi non è all'interno della Ue ma sui mercati internazionali. Mele, pere, susine, uva da tavola e kiwi sono le filiere frutticole con più prospettive sul mercato globale.

Se escludiamo le mele, le altre filiere sono ancora troppo frazionate e si sente la mancanza di grandi imprese che aggreghino volumi veramente significativi. Anche sul kiwi si è raggiunto un buon livello di aggregazione - i buoni risultati che abbiamo ottenuto in questo anni sono proprio il frutto di questa situazione - anche se occorre favorire l'ulteriore crescita dimensionale delle aziende esportatrici.

FP - Crescere: come?
RP - La strada maestra è sicuramente quella della fusione tra imprese. La crescita dimensionale porta generalmente aumento della specializzazione e riduzione dei costi, sia diretti che generali. In generale le imprese italiane sono troppo piccole, anche se non esistono dimensioni ideali. Occorre crescere fino a quando si riducono i costi.

Ma esiste anche un altro modello che non è alternativo bensì complementare al punto sopra evidenziato, che è l'aggregazione per progetti condivisi. Come gruppo Apofruit stiamo percorrendo da molto tempo questa strada e le politiche di marca Almaverde Bio, Solarelli e Made in Blu sono riconducibili a questa logica. Ogni impresa rimane autonoma dal punto di vista gestionale e si integra solo per la parte su cui si genera sinergia e valore. Del resto, la politica di marca è una delle poche che in prospettiva può creare valore nel mercato. E, da soli, è molto difficile e costoso perseguire queste strategie. Quindi l'aggregazione è una necessità.

FP - Il sistema italiano tiene o perde posizioni?
RP - Complessivamente il settore tiene, anche se alcuni prodotti sono decisamente in sviluppo e altri in forte difficoltà. Uva da tavola e agrumi sono le due filiere che ritengo oggi più problematiche; d'altro canto, la filiera dell'uva è anche una di quelle che ha maggiori potenzialità di sviluppo, se si riorganizza e punta su nuove varietà senza semi.

Il kiwi, sia a polpa verde che gialla, è certamente la specie che potrà dare maggiori soddisfazioni ai produttori e alle imprese commerciali. E' forse l'unico prodotto in cui siamo leader incontrastati a livello mondiale e dobbiamo, possiamo, aumentare il gap con gli altri paesi produttori. Il consumo mondiale cresce a un ritmo molto superiore rispetto alla produzione. Credo che sia una delle poche specie su cui possiamo ipotizzare che, a fronte di un incremento delle quantità, potrebbe non corrispondere una riduzione del prezzo. Anzi penso che, se aumenteremo la produzione e si favorirà l'aggregazione commerciale, i risultati per i produttori potrebbero ulteriormente migliorare.

FP - Quali i nodi da affrontare per il settore?
RP - Il problema dell'allargamento del mercato è il tema prioritario. Per alcuni anni il consumo interno difficilmente crescerà. Dobbiamo cercare lo sviluppo sull'export, soprattutto in oltremare. Ma molti di questi mercati sono chiusi da barriere fitosanitarie che, noi sappiamo bene, sono barriere protezionistiche nascoste.

E' necessario che il tema venga affrontato dalla Unione europea. Anche nel settore agroalimentare, infatti, l'Ue non può essere un'incompiuta. I cinesi o i coreani vanno a Bruxelles a negoziare le loro esportazioni e poi ogni singolo paese dell'Unione contratta con loro sui protocolli fitosanitari. Non possiamo perdere 7 o 8 anni come abbiamo fatto con il kiwi in Cina o in Corea. E' necessario che l'Ue acquisisca la titolarità della problematica delle barriere fitosanitarie e si faccia passare il concetto che, una volta definiti dei protocolli internazionali, questi devono essere accettati da tutti i paesi.

Il superamento di questi problemi creerebbe grandi opportunità per i nostri prodotti. Penso alla Cina. Sono appena rientrato da un viaggio di lavoro a Shanghai e ho potuto riscontrare un buon interesse per molti nostri prodotti ortofrutticoli, come uva da tavola, prugne o mele, che però non possono ancora entrare sul mercato cinese perché non esiste un accordo fitosanitario.

FP – La sua opinione su credito per le imprese e tempistiche di pagamento.
RP - Con l'entrata in vigore dell'art. 62 che definisce i tempi di pagamento - anche se ci sono settori come l'Horeca dove a volte non viene rispettato - si può dire che la situazione si è abbastanza normalizzata.

Nonostante questo, il tema della disponibilità finanziaria è prioritaria sia per le imprese agricole, in particolare quelle più grandi, sia per gli operatori commerciali.
Il nostro progetto di factorizzazione, partito pochi mesi fa, ha avuto un buon riscontro tra i nostri produttori, anche se al momento lo abbiamo proposto solo per i conferimenti di frutta invernale e di pomodoro da industria. Successivamente, abbiamo coinvolto i nostri fornitori di prodotti bio, di materiali di confezionamento e di servizi. La cosa sta riscuotendo successo perché il tasso e molto interessante - il 2,8% finito su base annua - che è il frutto della grande solidità del nostro gruppo.