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Gilberto Minguzzi: la mia visione sul futuro della produzione e del commercio ortofrutticolo

Alcuni macro-scenari degni di attenzione si stanno profilando all'orizzonte del settore agroalimentare in genere e ortofrutticolo in particolare: per esempio l'emergere delle economie dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e il rischio di una possibile penuria alimentare nei prossimi decenni. Per un'analisi circa le prospettive di medio-lungo periodo, FreshPlaza ha intervistato Gilberto Minguzzi, amministratore delegato della cooperativa Terremerse.

Con sede a Bagnacavallo (RA), la cooperativa venne costituita nel 1991 ma le sue radici risalgono ad oltre cento anni fa e precisamente al 30 aprile 1911, quando piccoli proprietari e affittuari di Massa Lombarda si unirono nella Cooperativa Servizi ai Coloni.

Oggi Terremerse conta 5.300 soci, per un fatturato annuo di 157 milioni di euro, di cui 38 derivanti dal commercio ortofrutticolo. Le produzioni frutticole ammontano a 46.000 tonnellate, quelle orticole a 12.000 ton, mentre il solo pomodoro da industria rappresenta 97.000 tonnellate.

Gilberto Minguzzi osserva: "La nostra cooperativa è una realtà multi-business che, oltre all'ortofrutta, lavora anche in altri settori, come quelli dei cereali e delle carni trasformate. Ciò ci aiuta a muoverci su vari fronti e a fare paragoni. Notiamo per esempio che, nonostante la fase di stagnazione prima (dal 2001) e di recessione poi (dal 2009) che sta interessando l'Italia, alcuni comparti hanno continuato a crescere. Il vino è uno di questi."

Secondo Minguzzi, il settore del vino italiano è stato favorito dalla maggiore capacità di penetrare i mercati esteri: "Grazie al fatto di esportare in tutto il mondo e di incassare i proventi al momento stesso della spedizione, questo settore si è difeso molto bene dalla crisi. L'ortofrutta, invece, nonostante recenti normative circa i tempi di pagamento della merce, incassa sempre in ritardo rispetto alla consegna, in un contesto nel quale anche la certezza della riscossione non è garantita."

Non è però solo questione di incassi; il problema sta anche nel fatto che i consumi si muovono in modo completamente diverso in Europa e nel resto del mondo: "Il mercato europeo è in una fase di calo dei consumi, mentre nel resto del mondo si registrano tassi di crescita a due cifre. Il nostro paese è favorito dal grande appeal della gastronomia italiana e dal fatto che le fasce di popolazione abbienti nei paesi emergenti si mostrano sempre più attente agli stili di vita e di alimentazione. Ciò però non significa che tutti i settori dell'agroalimentare possano beneficiare in maniera automatica di tali tendenze."

Secondo il manager, serve sviluppare relazioni commerciali con mercati remunerativi e interessanti, che offrano una redditività superiore ai costi di produzione e di trasporto: "Noi abbiamo appena siglato un accordo strategico con la cooperativa Apofruit, grazie al quale aderiremo alla società consortile Mediterraneo Group, un network di imprese nato proprio con l'obiettivo di valorizzare sui mercati internazionali le produzioni ortofrutticole dei partner della cooperativa Apofruit. Mediterraneo Group è già attiva sui mercati del Golfo Persico e dell'Estremo Oriente, che consideriamo molto promettenti per noi."

Per quanto riguarda uno scenario di scarsità di cibo nei prossimi decenni, Gilberto Minguzzi osserva: "Come si legge nel libro dal titolo 'Corsa alla terra' di Paolo De Castro, il presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, è in atto un vero e proprio fenomeno di accaparramento di suoli fertili da parte di paesi dotati di grande liquidità ma di scarse estensioni di superfici coltivabili, ad esempio la Cina. L'agricoltura sarà dunque sempre di più un settore strategico e il controllo dei suoli costituirà un fattore cruciale per lo sviluppo delle nazioni."

"Per noi il modello cinese non è imitabile e forse nemmeno auspicabile; si tratta infatti di un modello fortemente invasivo, con una grande potenza pronta ad esportare non soltanto denaro e infrastrutture nei paesi più poveri, ma anche 'coloni' cinesi e una politica di sfruttamento delle risorse naturali e delle materie prime locali. Un modello come quello olandese, forte delle sue capacità logistiche, che non si esauriscono solo nella capacità di spostare materialmente della merce, ma che prosperano su una rete molto capillare di relazioni commerciali con il resto del mondo, potrebbe costituire un migliore esempio da seguire. A noi, tuttavia, serve prima di tutto coniugare la grande ricchezza agroalimentare di un territorio fatto da piccole e piccolissime imprese, con l'innovazione di prodotto e di processo da un lato e, dall'altro, con un orizzonte più ampio rispetto ai confini nazionali, accogliendo e interpretando la sfida della competitività."

Sull'innovazione, Minguzzi osserva: "Ci siamo attardati troppo nel vivere la globalizzazione come una minaccia; la paura ci ha reso conservatori, con la conseguenza che alcuni dei nostri prodotti di punta si sono invecchiati. Se dobbiamo pensare all'innovazione dobbiamo farlo non secondo i nostri gusti, ma secondo i mercati che intendiamo agganciare, ponendoci insomma nell'ottica di produrre ciò che si vende e non di vendere quel che si produce. Le visioni ristrette del 'km zero' e del localismo, se hanno risposto ad esigenze di piccola scala, ci hanno però allontanati dalla vera arena in cui si gioca il nostro futuro, cioè il mercato internazionale."