Confagricoltura stigmatizza l'ennesimo no preconcetto delle Regioni alle coltivazioni geneticamente modificate in Italia
La posizione della Conferenza coincide con quella espressa in precedenza dagli assessori regionali e sarà lo stesso Vasco Errani a comunicarla al governo e a chiedere il ricorso alla clausola di salvaguardia, come previsto dal regolamento di Bruxelles.
Ma Confagricoltura critica il comportamento delle Regioni le quali, per l’ennesima volta, rinviano ogni decisione sulle linee della coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e OGM - come era stato richiesto dal Ministro Galan - non affrontando il problema, mentre hanno il preciso obbligo di farlo.
"La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, ancora una volta ha deciso di non decidere. Si sta nuovamente privilegiando il pregiudizio piuttosto che la presa di posizione lucida e basata su dati di fatto, che dovrebbe caratterizzare le scelte politiche", commenta Confagricoltura.
Inoltre - sottolinea ancora l’Organizzazione agricola - non indicano nemmeno argomentazioni per invocare la clausola di salvaguardia che ha bisogno, come presupposto, di solide motivazioni scientifiche per evidenziare l’ipotetico danno alla salute e/o all’ambiente dalla coltivazione di OGM (vedi normativa europea).
D’altronde solo il 9 dicembre scorso la Commissione europea ha pubblicato una raccolta di studi sugli OGM che abbracciano dieci anni di attività e 50 progetti di ricerca sul tema della sicurezza degli OGM. Tutti studi che, secondo quanto afferma la stessa Commissione, assieme agli altri svolti da 25 anni a questa parte da oltre 500 gruppi di ricerca, dimostrano che "non esiste, allo stato, alcuna prova scientifica che gli OGM determinino rischi maggiori per l’ambiente e per la sicurezza degli alimenti umani ed animali rispetto alle coltivazioni ed agli organismi convenzionali".
Ad avviso di Confagricoltura, le Regioni si trincerano dietro una voglia di "OGM free" che non solo non ha basi scientifiche ma continua a danneggiare i maiscoltori italiani che ogni anno perdono oltre 300 milioni di euro tra mancati ricavi e maggiori costi. E la ricerca resta bloccata.