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Solo imbarazzo e cattiva reputazione dal bando australiano alle mele neozelandesi

Secondo un documento aperto al pubblico dibattito, il divieto australiano all'importazione nel paese di mele dalla Nuova Zelanda è sbagliato per i consumatori australiani, per la loro economia, ed è imbarazzante per la reputazione internazionale del paese.

"Il pasticcio della quarantena australiana: il caso delle mele neozelandesi", questo il titolo del documento a firma di Malcolm Bosworth e Greg Cutbrush, ricercatori ospiti presso la Crawford School of Economics and Government dell’Università statale australiana, che è stato sostenuto dall’organizzazione dei produttori frutticoli neozelandesi "Pipfruit New Zealand".

Il documento sostiene che, sebbene l'Australia abbia recentemente tolto l’interdizione totale per le mele della Nuova Zelanda (durata per ben 77 anni), nella pratica gli eccessivi controlli imposti dalle autorità fitosanitarie impediscono ugualmente le importazioni.

Gli autori stimano che tale barriera di protezione commerciale, imposta in nome della salvaguardia dei melicoltori australiani da tre fitopatie presenti in Nuova Zelanda, si sia risolta - nei sei anni compresi tra il 2001/02 e il 2007/08 – con oltre 2 miliardi di dollari australiani (2,5 miliardi di dollari neozelandesi o 1,418 miliardi di euro) trasferiti dai consumatori australiani agli agricoltori. L'Australia, infatti, produce le mele più costose al mondo, seconde solo al Giappone, altro paese in cui i melicoltori locali sono molto protetti.

Nel corso degli anni, per quattro volte la Nuova Zelanda ha presentato senza successo richiesta di accesso al mercato australiano e nel 2007 ha portato il suo caso all'Organizzazione mondiale del commercio (WTO), che lo ha accolto nel marzo di quest’anno. L'Australia ha fatto ricorso. La decisione è attesa nei prossimi giorni, entro fine novembre 2010.

Le stime di Pipfruit Nuova Zelanda valutano che si potrebbero esportare in Australia 500.000 casse di mele all'anno, per un valore intorno ai 30 milioni di dollari neozelandesi (oltre 17 milioni di euro).

Il documento addita le severe limitazioni contro le importazioni di mele neozelandesi come esempio concreto delle "ineludibili" riforme alle politiche e alle misure di sicurezza fitosanitaria dell'Australia. La sconfitta dell'Australia al WTO, all'inizio di quest'anno, ha avuto conseguenze imbarazzanti per la sua politica di quarantena e se il suo appello sarà respinto, come si prevede, questo disagio sarà rimarcato, si legge ancora nel documento.

Il testo accusa inoltre di "ridicole lungaggini" le indagini australiane in risposta ai ripetuti reclami della Nuova Zelanda e sostiene che le autorità australiane hanno ripetutamente citato in modo errato argomentazioni scientifiche ed economiche che hanno sovradimensionato il rischio di possibili contaminazioni.

Il documento afferma che la Nuova Zelanda è uno dei principali esportatori di mele del mondo. Malgrado la presenza di una fitopatia del melo come il colpo di fuoco batterico, commercializza mele a metà del prezzo di quelle australiane e alcuni dei suoi mercati sono esenti da fitopatie, grazie ai rigidi standard sanitari.

In definitiva, il regime di quarantena imposto dagli australiani non supera "neppure l’analisi costi/benefici più rudimentale".