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L’Rfid fa bene alla filiera del food

Riunito dal professor Antonio Rizzi dell’Università Statale di Parma, che coordina il laboratorio Rfid dell’ateneo emiliano, un nutrito gruppo di aziende del comparto alimentare (vedi loghi qui accanto), che rappresentanoin pratica tutta la filiera, ha sperimentato per molti mesi latecnologia di identificazione a radiofrequenza (Rfid) nel lavoro di tutti igiorni, taggando più di 10.000 cartoni e toccando con mano i vantaggi ele complessità dell’Rfid.

Alla fine (che poi potrebbe essere in realtà l’inizio) si sono ritrovati tutti insieme attorno a un tavolo dell’auditorium dell'Università, per tirare le somme di questa esperienza. I risultati del progetto pilota - il nome ufficiale del progetto è Rfid Logistics Pilot - sono stati i seguenti:
- L’accuratezza del rilevamento è stata pari al 100% per i pallet e al 96% per i singoli colli.
- Applicare l’Rfid sotto l’egida del protocollo EpcGlobal ha dato la possibilità alle società coinvolte di acquisire un notevole controllo sul flusso della merce. Grazie a un software specifico sviluppato dall’Università, hanno potuto conoscere in tempo reale un numero di parametri molto maggiore rispetto a quello consentito dai sistemi che usano i soli codici a barre.
- I tempi di controllo presso il produttore sono stati drasticamente ridotti, così come anche i tempi di ricevimento e presa in carico della merce da parte del centro di distribuzione.
- Inoltre, il sistema ha permesso di ridurre le scorte: un elemento essenziale per ridurre i costi.

Il progetto, ha spiegato il Prof. Rizzi, ha permesso di monitorare in tempo reale la quantità di prodotti a scaffale e di verificare, sempre in real-time, l’andamento delle promozioni. È stato possibile ipotizzare un sistema di fatturazione automatica, con sensibili risparmi di complessità e costi nell’intero processo amministrativo, visto che con i tag è sempre possibile sapere con certezza se un collo è effettivamente arrivato in un nuovo anello della filiera.

Nella sua fase iniziale, il progetto ha avuto senza dubbio successo. Per la prima volta in Italia si è tentato qualcosa di analogo, seppur in scala minore, di quanto fatto da Wal-Mart negli Stati Uniti. Ma il valore maggiore è stato l’essere riusciti ad aggregare in un singolo progetto aziende molto diverse fra loro, o perfino concorrenti.

Tirate le somme, ora i partecipanti dovranno decidere se e come procedere. Per dare un senso compiuto all’intera operazione, al di là del significato scientifico (già rilevante di per sé), Rizzi dovrà riuscire adesso a estendere la portata del progetto, inaugurando una nuova fase che veda l’introduzione dei tag su una quantità più vasta di prodotti e in un maggior numero di imprese. Ma non sarà un compito facile.

Interpellati sull’argomento dallo stesso Rizzi nel corso della tavola rotonda che ha concluso la giornata, molte delle aziende presenti, soprattutto quelle più grandi, hanno evitato con attenzione di sbilanciarsi. Qualcuno è arrivato a fare qualche calcolo improvvisato, concludendo che la somma da stanziare per entrare in una fase più operativa sarebbe elevata e meriterebbe quindi attente valutazioni.