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Il caso dell'eccellenza del Pomodoro di Pachino Igp

Ecco come valorizzare gli scarti del pomodoro da mensa

Il pomodoro da mensa è una delle referenze di maggior valore della gamma ortofrutticola. Diversi i segmenti che risultano interessanti, specialmente se riconducibili a produzioni particolarmente pregiate come, ad esempio, quella del pomodoro di Pachino IGP. Quest'ultimo figura tra le eccellenze agroalimentari italiane per le sue elevate proprietà sensoriali, nutrizionali e salutistiche, espressioni del territorio di provenienza. Al fine di assicurare una elevata qualità del prodotto destinato al mercato del fresco, si opera una rigorosa selezione dei frutti sia in campo sia in magazzino, il che genera uno scarto di produzione che fin qui, almeno per la produzione del fresco, non veniva neanche preso in considerazione come utilizzabile per la realizzazione di derivati da proporre su mercato sotto forma di pasta di pomodoro, succo, salsa, purea e ketchup etc.

Ne abbiamo parlato a margine di un convegno proprio sul pomodoro di Pachino Igp con Paolo Rapisarda, dirigente ricercatore del Crea-OFA di Acireale (CT), il quale ci ha riferito circa l'esistenza di "diversi studi esistenti che vanno nella direzione dell'individuazione di soluzioni tecnologiche e di formulazioni innovative, per immettere sul mercato derivati del pomodoro sempre più graditi ai consumatori".

Dr. Paolo Rapisarda

"D'altra parte, solo il 5%, ovvero 16mila ton della produzione totale di pomodoro, in Sicilia, viene avviato alla trasformazione - ha rivelato l'esperto - Una percentuale molto bassa, derivante dal fatto che gran parte del prodotto avviato alla trasformazione proviene dalla selezione effettuata in base alle esigenze commerciali (per meri difetti estetici), con frutti comunque di buona qualità".

Il totale della produzione di pomodoro in Sicilia proviene da un'estensione di 15mila ettari, 3 mila dei quali derivante da coltivazioni in serra fredda (ossia non riscaldata, dunque molto più sostenibile di quelle mitteleuropee - Ndr). Insieme, rappresentano 417mila ton annue (dati UniCT media anni 2016/2020), di cui solo poco più della metà riguarda il pieno campo, con rese di molto inferiori (rispetto alla produzione in serra) per mq.

"Poi, all'interno del processo di trasformazione del pomodoro - ha aggiunto Rapisarda - si producono dei sottoprodotti, costituiti principalmente da bucce e semi. Tali residui, se non adeguatamente trattati, diventano rifiuti, generando problemi di smaltimento, di inquinamento dell'ambiente e un forte aggravio dei costi di lavorazione".

"Pertanto, occorre introdurre all'interno della filiera un nuovo segmento - ha proseguito lo scienziato - che preveda un uso razionale dei sottoprodotti per la produzione di sostanze ad alto valore aggiunto quali fenoli, licopene, olio dai semi, ecc., da indirizzare all'industria alimentare, cosmetica e farmaceutica".

Sopra: licopene. Nella slide sotto: applicazioni pratiche del Licopene estratto dal pomodoro

"Ulteriori interessi da prendere in considerazione, nell'ottica di economia circolare – ha concluso lo studioso - riguardano l'impiego degli scarti nell'industria mangimistica e le applicazioni energetiche, cioè, digestione anaerobica per la produzione di metano".

Per maggiori informazioni:
Paolo Rapisarda
Crea – OFA di Acireale
+39 3479197756
[email protected]