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I pareri degli esperti

Frutta poco buona, di chi e' la colpa? Botta e risposta fra Mazzini di Coop e Bruni del Cso

"La frutta non è buona. La produzione negli ultimi anni è andata peggiorando e il risultato lo si vede nel calo dei consumi". "La responsabilità non può essere scaricata solo sulla produzione, ma anche la Gdo deve recitare il mea culpa". In queste due frasi, è riassunto il botta e risposta fra Claudio Mazzini, responsabile comparto Freschissimi di Coop e Paolo Bruni, presidente del Cso-Centro Servizi Ortofrutticoli. L'occasione è stata la tavola rotonda organizzata nell'ambito del convegno sugli 80 anni della rivista di Frutticoltura tenutosi a Cesena Fiera il 27 novembre 2018 e moderato dal giornalista Giorgio Setti.

"Il consumatore è disposto a pagare di più se ottiene più servizi e delle novità - ha esordito Mazzini - ma negli ultimi anni la qualità, vale a dire il sapore, della frutta, è andato sempre peggiorando. La frutta non è buona, non è che scopro l'acqua calda, credo sia un dato ormai assodato. E quando si parla di innovazione, non voglio dire altre varietà: ce ne sono fin troppe. Non abbiamo spazio fisico per nuove varietà. Serve poco materiale, ma di alta qualità".

Non si è fatta attendere la risposta di Bruni: "L'amico Mazzini esaspera un concetto ma, ovviamente, un fondo di verità c'è. La frutta non è buona, ma tutta la filiera ha le proprie responsabilità, Gdo compresa. Non ha senso fare paragoni con il passato e dire che una volta la frutta era più buona: una volta la frutta si staccava dall'albero praticamente matura e la si consumava seduta stante. Oggi i punti vendita da raggiungere sono migliaia e dislocati ovunque, e la frutta viene raccolta in modo che possa giungere sui banchi in uno stato decente. Come la Gdo stessa ha sempre chiesto".

La vera innovazione, quindi, passerà semmai da quelle varietà in grado di resistere al trasporto e avere una discreta shelf life pur se raccolte a uno stadio di maturazione avanzato.

Renzo Piraccini, presidente di Macfrut, ha affermato che avere una grande vetrina del prodotto nazionale, che comprende tutta la filiera, è indispensabile per sostenere l'export. "Un po' come è accaduto in Spagna, dove la crescita esponenziale della produzione è andata di pari passo con la fiera di Madrid, e viceversa".

"L'Italia - ha aggiunto Piraccini - vende all'estero ortofrutta per un valore di 5 miliardi di euro, ma solo 300 milioni sono destinati fuori dai confini dell'Unione europea. Quindi va detto che esportiamo per 300 milioni, perché vendere in Germania, come avveniva già negli anni '30 del secolo scorso, non è esportare. Questi sono tutti mercati interni".

Ha preso la palla al balzo Marco Salvi, presidente di Fruimprese: "La burocrazia, o più in generale il sistema Italia, deve stare al passo con le imprese e non deve ostacolarle, altrimenti tutto l'impianto economico fallisce. Nei primi 8 mesi del 2018, le importazioni di ortofrutta sono state superiori di 100mila tonnellate rispetto alle esportazioni: è un campanello d'allarme".

Davide Vernocchi, presidente di Apoconerpo, ha posto l'accento sul discorso del catasto frutticolo e sul fatto che le varietà di pesche e nettarine sono davvero troppe. E poi c'è sempre la questione dei prezzi, fronte su cui la Gdo sembra fare una battaglia spietata.

"Se sono state selezionate tante varietà con frutti a lunga durata e consistenti - ha detto Giandomenico Consalvo, presidente del Civi, il Consorzio italiano vivaisti - è perché il mercato chiedeva questo".

Per Ugo Palara, coordinatore tecnico di Agrintesa, la produzione non si è dimenticata della qualità, ma di certo gli standard qualitativi sono differenti a seconda dell'interlocutore. "Piuttosto preoccupiamoci - ha aggiunto Palara - della formazione dei nuovi tecnici".

"Mai fare sconti sul gusto - è intervenuta Alessandra Ravaioli presidentessa dell'Associazione Le Donne dell'Ortofrutta - e neppure su sapore e aroma. L'ortofrutta è stata banalizzata per troppo tempo, occorre cambiare rotta e ridarle la giusta dignità".

Le conclusioni sono toccate all'assessore regionale all'agricoltura dell'Emilia Romagna, Simona Caselli. "Noi puntiamo tutto sull'innovazione. La nostra Regione è, in Italia, quella che più ha investito e spinto sui Goi, cioè i Gruppi per l'innovazione. Non abbiamo altre strade da percorrere se non quella della ricerca e della novità di processo e di prodotto".