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Gene editing: il futuro delle tecniche di modificazione genetica non Ogm

Il tema è di quelli spinosi, in grado di dividere le coscienze, i decisori politici, il mondo del breeding e quello della produzione, fino ai consumatori. Parliamo dell'innovazione varietale realizzata non attraverso incroci, ma intervenendo sul DNA delle piante, attraverso metodiche avanzate quali il gene editing (che al suo interno include diverse tecniche). Questo è stato il tema di un convegno organizzato ieri 28 settembre 2016 alla facoltà di Agraria di Bologna e promosso dall'Università e da Assosementi.


Un momento del convegno di ieri, alla facoltà di Agraria di Bologna.

L'innovazione nel settore ha messo in mano a ricercatori e breeder tecnologie sempre più avanzate, che permettono oggi di effettuare interventi sul DNA fino a pochi anni fa inimmaginabili. E' indubbio che oggi la tecnica del settore più innovativa e quella su cui i maggiori centri di ricerca mondiali stanno puntando sia la CRISPR-Cas9 (cfr. FreshPlaza del 10/12/2015): in poche parole la possibilità di indurre una mutazione in una pianta, in un tratto ben specifico della sua sequenza genetica, utilizzando una proteina programmata in laboratorio appositamente per lo scopo.

Negli Stati Uniti si sta lottando per decidere di chi sarà il brevetto, mentre in Europa si sta decidendo se il risultato di una simile tecnica sia o meno un organismo geneticamente modificato (Ogm). "Oggi - spiega Silvio Salvi (nella foto sopra a sinistra) dell'Università di Bologna - per produrre una pianta usando il CRISPR-Cas9 serve una pianta ogm intermedia, ma presto questa tecnica verrà migliorata con nuove che sono già in fase di pubblicazione e che non richiedono una pianta intermedia di questo tipo"; e al riguardo, durante il convegno, si è fatto cenno all'esperienza cinese, dove pare siano state sviluppate in laboratorio nuove varietà (tra cui una anche di lattuga) senza passare da questo step ogm.


Un momento del convegno di ieri, alla facoltà di Agraria di Bologna.

"Circa il 80% dei guadagni produttivi che avvengono in campo sono frutto del miglioramento genetico, ma oggi lavorare in maniera tradizionale richiede un tempo di 8/10 anni per portare sul mercato una nuova varietà - spiega Giuseppe Carli (nella foto a destra), presidente di Assosementi, l'associazione che riunisce le aziende sementiere italiane - mentre con il gene editing potremmo fare di più, meglio e più velocemente, considerando che tale metodo non prevede l'inserimento di materiale esogeno (cioè materiale genetico prelevato da un organismo di una famiglia diversa, ndr), riproduce situazioni che con il tempo si potrebbero avere casualmente anche in natura, e che gli stessi risultati si possono ottenere anche con le tecniche di incrocio tradizionale".

"E' per questo che non vogliamo che simili tecniche siano catalogate come ogm. Se così accadesse, i costi del breeding salirebbero, con il rischio di collasso o di esodo all'estero delle piccole e medie imprese del settore e di una minore competitività del comparto italiano".