Gli ultimi dati disponibili del Centro servizi ortofrutticoli (CSO), relativi alla campagna 2014/15, parlano di 323mila tonnellate esportate su una produzione nazionale che quest'anno, secondo le stime, dovrebbe superare le 538mila tonnellate, il 9% in più dell'anno scorso.

Eppure, nell'ambiente, qualche preoccupazione si percepisce. Tutti stanno piantando kiwi, in modo indiscriminato, e senza alcuna programmazione varietale, forse complice il fatto che anche la batteriosi - che sembra avviarsi a una convivenza gestibile - pare ormai solo un brutto ricordo. Da Nord a Sud Italia si piantano nuove varietà: verdi, gialle, rosse. Gli stessi vivaisti segnalano un aumento di piante vendute, e a prezzi elevati.
Per quanto riguarda l'Italia, il CSO fa sapere che nel Lazio la produzione aumenterà del 26%, mentre in Campania le rese sono previste in crescita del 30%. Situazione ancora più "spinta" in Calabria, dove si stima un incremento del 37%, perché entrano in produzione sempre più frutteti. In questa regione, poi, è impossibile avere dati più precisi circa la superficie: se l'Istat indica un migliaio di ettari coltivati a kiwi, gli esperti parlano di almeno 3.000.
Non finisce qui. All'incontro IKO (International Kiwifruit Organization) dei primi di ottobre a Katerini, in Grecia, è stato messo in evidenza proprio il tendenziale incremento della produzione greca, grazie al progressivo apporto dei nuovi impianti. Va ricordato che il Paese ellenico - che ha una spiccata propensione all'export - è anche il meno colpito dalla batteriosi.
Nemmeno sul fronte dell'interprofessione - che, sia pure nei limiti dei suoi poteri, l'anno scorso aveva raggiunto il risultato dell'Erga Omnes - arrivano buone notizie. Se il Mipaaf non si decide a rendere applicativa la legge n. 91 del 2015, produttori e distributori non potranno sfruttare l'unico strumento a loro disposizione per organizzare e pianificare la coltivazione e commercializzazione.
Ben venga, quindi, la "buona volontà" di alcune strutture organizzate che hanno istituito al proprio interno un gruppo di coordinamento. Insomma, la morale è sempre quella: se non si lavora in modo organizzato - meglio sotto una unica regia - rischiamo di compromettere una delle poche colture made in Italy ancora competitive.