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Attualmente le irregolarità registrate si aggirano intorno al 17%

Irregolarità nel commercio: troppa frutta "estera" è etichettata con "Italia"

L'Ispettorato Centrale Repressione Frodi Agroalimentari (ICQRF) del MiPAAF, nel periodo giugno-agosto 2021 ha intensificato le ispezioni nel comparto ortofrutticolo, con particolare riferimento alla corretta indicazione dell'origine e della tracciabilità dei prodotti ortofrutticoli freschi commercializzati in Italia. Attualmente, le irregolarità registrate si aggirano intorno al 17% e attengono principalmente a prodotti ortofrutticoli freschi immessi sul mercato con la dicitura "origine ITALIA" mentre, di fatto, la loro provenienza è estera.

Il tema, già affrontato con riferimento alla commercializzazione delle pesche nettarine (cfr. FreshPlaza del 2/7/2018), è sempre di attualità. Approfondiamo con l'avvocato Gualtiero Roveda, consulente di Fruitimprese, gli aspetti giuridici della questione.

Gualtiero Roveda

FreshPlaza: (FP): Quali sono i profili di responsabilità quando viene venduto un prodotto straniero indicandolo come italiano?
Gualtiero Roveda (GR): Nel caso, siamo in presenza di una condotta sanzionata penalmente. Infatti, chi nell'esercizio di un'attività commerciale consegna all'acquirente un prodotto per origine diversa da quella dichiarata o pattuita, commette il reato previsto e punito dall'art. 515 del Codice penale.

FP: E', in pratica, una truffa?
GR: Tecnicamente, no. Anche se il confine tra il reato in esame e quello più grave di "truffa", previsto dall'art. 640 c.p., è piuttosto labile. La stessa giurisprudenza ha fornito soluzioni interpretative contrastanti. La tesi che appare preferibile è quella che ravvisa la sussistenza della "truffa" e non della "frode in commercio" quando l'acquirente è stato indotto, per mezzo di artifici o raggiri, a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso e che dall'operazione derivi a quest'ultimo anche un danno patrimoniale.

FP: E' sufficiente detenere presso il magazzino o il punto vendita prodotti difformi per origine da quanto indicato in etichetta?
GR: Sì, in quanto è configurabile il tentativo. La commissione dell'illecito, invece, si consuma nel momento e nel luogo in cui viene consegnata la cosa. L'elemento soggettivo del reato è caratterizzato dal dolo generico. Non sono perciò richieste né particolari modalità ingannatorie, né finalità di lucro: è sufficiente la consapevolezza e volontarietà del venditore di cedere un prodotto diverso da quello stabilito. La prova del dolo può desumersi da qualsiasi legittimo elemento, come, ad esempio, dalla condotta dell'agente, da dichiarazioni, da documenti, testimonianze, ecc.; sono, invece, vietate le presunzioni.

FP: Se il prezzo è congruo per le caratteristiche e le qualità del prodotto venduto, il reato c'è ugualmente?
GR: Sì, sussiste comunque. Potrà essere, al limite, una circostanza che il giudice valuterà per stabilire la misura della pena.

FP: Quali sono le sanzioni?
GR: Il reato di "frode in commercio" è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 2.065 euro. In ragione dell'articolo 517-bis c.p., la pena è aumentata nella misura massima di un terzo se i fatti hanno per oggetto alimenti o bevande con denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. La condanna comporta anche la pubblicazione della sentenza, in ragione di quanto stabilito dall'art. 518 c.p.

FP: Il reato in esame rientra tra i "reati presupposto" previsti dal D.Lgs. n. 231/2001?
GR: Assolutamente sì. A ciò consegue che la commissione del reato di "frode in commercio" comporta, oltre alla penale, personale, responsabilità di coloro che hanno commesso il reato, anche una responsabilità amministrativa della società, accertata dal giudice penale. La società potrà così essere condannata a una sanzione pecuniaria ricompresa in un range che va da un minimo di euro 25.800 a un massimo di euro 1.549.000.