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Frutta dall'estero: frodare sulla provenienza puo' costare una multa di 750mila euro

E' un'annata di scarsa produzione di pesche e nettarine. Ciononostante, finora il prezzo del prodotto riconosciuto agli agricoltori italiani non corrisponde a quanto potevano attendersi. Si ritiene che ciò sia dovuto alle consistenti importazioni da Nord Africa e Grecia a prezzi inferiori a 50 cent/kg (cfr. FreshPlaza del 28/06/2018). Sin qui nulla da dire: è la conseguenza della globalizzazione agricola e della libertà di mercato.

Tuttavia, ed è questo il problema, diversi produttori denunciano che non è facile trovare in vendita al dettaglio pesche e nettarine provenienti da questi Paesi. Vi è, perciò, il sospetto che molto prodotto, spacciato in etichetta come italiano, in realtà non sia tale.

Analizziamo con l'avvocato Gualtiero Roveda gli aspetti critici della questione.

FreshPlaza (FP): L'importazione di merce da Paesi con legislazioni meno severe di quelle italiane crea oggettivamente problemi ai nostri agricoltori.

Gualtiero Roveda (GR): Il libero commercio internazionale rappresenta, sotto il profilo sociale ed economico, una grande opportunità per tutti gli Stati. Tuttavia, la UE dovrebbe tutelare il modo di produrre comunitario, verificando con estrema severità l'effettivo rispetto degli standard, stabiliti in materia di condizioni dei lavoratori, sicurezza alimentare e protezione ambientale, a prescindere che siano Paesi terzi o comunitari. Dovrebbe anche essere intensificato il controllo in entrata dei prodotti extraeuropei, sia sotto il profilo della qualità commerciale sia dei residui fitosanitari.

FP: Molti agricoltori sospettano che siano state importate pesche e nettarine per essere naturalizzate italiane e vendute come tali. E' possibile fare questa operazione?

GR: Assolutamente no. La legislazione comunitaria impone l'obbligo di evidenziare i dati relativi all'origine dei prodotti. Il consumatore deve essere messo in grado di scegliere cosa acquistare con cognizione di causa.

FP: Vi sono conseguenze penali per l'operatore commerciale che indica un Paese di origine non corrispondente a quello effettivo?
GR: La condotta in esame è riconducibile al delitto di frode nell'esercizio del commercio che tutela il normale e leale svolgimento dell'attività di vendita. La norma si pone a garanzia della buona fede negoziale ed è finalizzata a garantire gli interessi di tutti i protagonisti del mercato. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza. Secondo la giurisprudenza, il reato può anche concorrere con quello di vendita di prodotti con segni mendaci. Si deve anche tenere presente che la commissione dei reati in esame è fonte di responsabilità per l'ente prevista dal D. Lgs. 231/01.

Foto d'archivio

FP: Si tratta della normativa che ha introdotto la responsabilità delle società?
GR: Sì. Il D.Lgs 231/01, in pratica, ha esteso alle società la responsabilità di reati commessi nel loro interesse. La finalità del provvedimento è stata quella di contrastare l'economia illegale. Prima dell'attuazione del Decreto, i responsabili di eventuali reati erano sempre e solo le persone fisiche, pur avendo commesso i reati in favore della società. Questo consentiva all'impresa di beneficiare comunque del vantaggio ottenuto con l'azione illegale, discriminando così le imprese che tendevano a conseguire il proprio utile rispettando le regole e falsando, di fatto, il mercato.

In pratica, nel caso sia accertato il reato di cui stiamo parlando, potrà essere irrogata sia una sanzione di natura penale alla persona fisica, individuata come autrice della violazione, sia una sanzione di natura penale/amministrativa alla società. Quest'ultima potrà consistere in una pena pecuniaria importante, da 125.000 a 750.000 euro, stabilita dal giudice in relazione alla gravità del fatto e alle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente.

E', tuttavia, previsto l'esonero della responsabilità amministrativa da parte della società che dimostri di aver adottato un valido modello di organizzazione e controllo volto a prevenire reati come quello verificatosi.

FP: L'artificio dell'ingannevole indicazione di origine può, pertanto, costare caro.
GR:
Proprio così! E non è finita: al rischio di ordine giudiziario se ne affianca anche uno di carattere commerciale. Negli ultimi anni, infatti, la maggior parte delle catene di supermercati, per tutelare il consumatore, si è dotata di un Codice etico, in base al quale si impegna a un controllo rigoroso sulle aziende fornitrici e, per questa ragione, richiede che non abbiano pendenze penali o condanne per truffa o frodi in commercio.