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Il biologico cresce nel mondo, ma quale?

In un entusiasmante confronto epistolare - con diffusione sui media - tra il giornalista Michele Serra e la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, quest'ultima ha replicato - in un'ultimo scambio consultabile qui nella sua interezza - con un'impressionante mole di informazioni (sconosciute ai più) contro l'acritica posizione secondo la quale milioni di agricoltori che lavorano a sfamare il mondo mediante l'agricoltura intensiva e, spesso, a lotta integrata, dovrebbero fare dietrofront per sposare il solo metodo biologico (o, addirittura, quello biodinamico).

La senatrice scrive: "Sembra paradossale che non ci sia ascolto verso coloro che promuovono l’agricoltura integrata come sintesi fra intensificazione e sostenibilità (produrre di più per unità di superficie, senza perdere fertilità e riducendo l’impatto, potendo giovarsi degli straordinari progressi della gestione integrata dei parassiti e delle colture, come pure dell’agricoltura conservativa – dei nostri patrimoni – e di precisione). Per farlo basterebbe che, dal mainstream giornalistico alla politica, passasse il concetto che 'chi ha a cuore la sostenibilità non può e non deve negare l’innovazione tecnologica'“.

I dati (sconosciuti) sulla crescita del biologico
Oltre alla sacrosanta battaglia a favore del metodo scientifico come unico approccio percorribile in un'epoca in cui ogni opinione sembra poter essere sdoganata e presa per credibile in base alle impressioni/emozioni (per non dire bufale) del momento, invece che sulla scorta di dati oggettivi, la senatrice Cattaneo fornisce informazioni finora ampiamente ignote sulla crescita del biologico a livello internazionale e italiano.

La scienziata osserva: "Studiando i numeri relativi agli ettari coltivati a biologico - ovvero che ricevono sussidi per produrre mediamente meno rispetto all'integrato - ho scoperto, sorprendentemente, che più della metà dei 51 milioni di ettari a biologico nel mondo (tra certificati e in conversione) a fine 2015 erano prati, pascoli e foraggere, con l'Australia che ne annovera quasi 23 milioni ed è praticamente rappresentata dai soli pascoli (AgenceBio, 2017, rapporto La bio dans le monde). Non a caso, gli esperti di politiche agricole su scala mondiale mi segnalano che nel 2015 risultavano globalmente a biologico 33,1 milioni di ettari di prato contro i 22,6 milioni del 2012, mostrando, in soli tre anni, un incremento pari al 46%. Per contro, gli ettari a seminativi e con colture arboree sono rispettivamente passati nello stesso periodo da 7,9 a 10 milioni e da 3,2 a 4 milioni".

"In sostanza, studiando, si scopre che la “grande crescita” del biologico - che anche l’ex Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina utilizzava a riprova di un “aumento della domanda di biologico” da parte del consumatore, facendo eco al claim di marketing dell’industria del settore - è dovuta per lo più all'aumento di pascoli e prati. Ovvero indirizzi produttivi pressoché indistinguibili da quelli convenzionali, non necessitando di particolari trattamenti fitosanitari e fertilizzazioni (Willer, 2017)".

"Ho verificato - prosegue Elena Cattaneo - che anche in Italia, circa la metà di quel 15,4% di terra (1,9 milioni di ettari) dichiarata “coltivazione a biologico” (che comprende 1,3 milioni di ettari certificati bio, mentre i restanti sono “in conversione”) è lasciata a pascoli, prati e colture foraggere, pertanto improduttivi, ma oggetto di sussidi (Sinab, rapporto Bio in cifre 2018)".

"Quindi, negli anni, sembra che le politiche per l’agricoltura adottate abbiano incentivato la sussistenza e l’improduttività anziché l’innovazione. Il peso drammatico di tutto ciò per il cittadino lo descrivono bene alcuni agricoltori, che riconoscono di essersi trasformati in “contabili di sussidi” al biologico su terreni improduttivi".

"Analizzando la letteratura si capisce anche che i metodi di coltivazione bio presentano rese paragonabili a quelli convenzionali solo per rare colture di legumi e colture perenni e solo in alcune specifiche condizioni ambientali (Seufert, 2012). Altri risultati portati come prova della redditività del bio, comunque inferiori di un 20% rispetto a quelli del convenzionale, sono ottenuti (ad esempio in de Ponti, 2012), in condizioni sperimentali, cioè molto diverse da quelle effettive "in campo”. Ogni tecnica produttiva, comunque, va valutata e utilizzata in maniera "laica", perché ogni campo è diverso a seconda della composizione chimica del terreno, dell’esposizione e di tanti altri fattori che variano anche all'interno dello stesso appezzamento, in poche decine di metri (conclusione cui giunge anche la meta-analisi di Knapp, 2018)".

Queste, e altre osservazioni emerse nel dibattito Serra-Cattaneo, gettano ragionevoli dubbi sugli orientamenti attuali, spesso mossi da mode del momento e che, se applicati acriticamente, possono mettere a rischio la sicurezza alimentare del pianeta (anche intesa in termini di accessibilità economica al cibo da parte della popolazione) invece che rispondere alla sfida di "sfamare il pianeta".