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Gli Italiani a tavola, cosa sta cambiando: i dati del Censis

"La spesa alimentare in Italia cala con grande evidenza, per la prima volta dal dopoguerra si manifesta una tendenza inequivocabile sottolineando una più profonda linea di demarcazione fra classi sociali", così ha esordito Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis all'incontro del 26 ottobre "Gli Italiani a tavola: cosa sta cambiando – Il valore sociale dell'alimento carne e le nuove disuguaglianze".



Al convegno, tenutosi ieri 26 ottobre 2016 a Palazzo Giustiniani del Senato, è stato presentato il rapporto Censis sui consumi delle famiglie con un occhio incentrato sul settore alimentare. Forte la flessione della spesa sia sul settore ortofrutta che sulle carni in generale. Gli italiani sembrerebbero destinati a mangiare pane, acqua e crisi.

Crisi che riguarda i particolar modo lo stile alimentare estremamente vario ed equilibrato, tipico del Bel Paese: cioè la Dieta mediterranea, riconosciuta dall'Unesco come parte del patrimonio immateriale dell'umanità.

Considerando tre nuclei-tipo di famiglie, imprenditori, operai e disoccupati, si è visto come dal 2007 al 2015 la spesa per i consumi alimentari sia diminuita rispettivamente del 17,7%, 19,4% e 28,9%.



Solo nell'ultimo anno 16,6 milioni di italiani hanno diminuito il consumo di carne, 10,6 milioni hanno acquistato meno pesce, 3,6 milioni hanno mangiato meno frutta e 3,5 milioni hanno contratto la spesa per la verdura.

A moderare l'incontro, Alessandro Cecchi Paone. Fra i relatori (oltre a Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis) Marino Niola, antropologo dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Luigi Scordamaglia, presidente Federalimentare, Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti, Giorgio Calabrese, presidente del Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare del ministero della Salute, Massimiliano Dona, segretario generale dell'Unione Nazionale Consumatori. A chiudere il tutto, Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (in foto qui sotto).



"Il dato è inquietante – ha proseguito Valerii – Eravamo stati tratti in inganno dalle mode degli ultimi tempi pensando che il fenomeno fosse frutto di scelte culturali, invece ha radici socio-economiche. Gli italiani devono risparmiare e lo fanno su architravi dell'alimentazione: sulla frutta e sulla verdura, con grave mancanza per l'apporto vitaminico e di elementi vitali; diminuiscono l'acquisto di carni ma non per ragioni modaiole, lo fanno per ridurre i costi. Altro architrave tipico della dieta mediterranea che soffre in questa situazione è il consumo di pasta".



"I numeri sono chiari e rivelano il ritorno di una distinzione dei ceti sulle tavole – ha detto Valerii - Dagli anni 60 e nei decenni successivi la crescita fu evidente: arrivava più diffusamente la carne sulle tavole delle famiglie, sparirono malattie endemiche come lo scorbuto e la pellagra, aumentano i longevi tanto che 50 anni fa erano il 10 per cento e oggi sono raddoppiati: oggi l'italiano è fra i più longevi al mondo, 84,7 anni l'aspettativa di vita per le donne e 80,1 anni per gli uomini. La varietà e le tipicità dei prodotti italiani diventarono e sono oggi il nostro biglietto da visita nel mondo".


Un momento dell'intervento di Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.

"Con il nuovo millennio l'alimentazione degli italiani è cambiata – ha continuato il direttore generale del Censis – mutano i valori, le condizioni economiche, gli stili di vita, si fa strada il concetto di sostenibilità. Ma sul web, grazie alla larga diffusione dei nuovi metodi di comunicazione e connessione, si diffondono anche falsi miti e nuove mode. Così nascono nuovi problemi. Con la crisi del 2008 cambia tutto drasticamente e irrompe la disuguaglianza a tavola, si manifesta il Food Social Gap".

Qui l'analisi riprende analizzando tre livelli di famiglie, da quelle con minori possibilità alle più ricche, passando per il ceto medio.


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Il consumo di carne segna una percentuale del 45,8% dei nuclei a più basso reddito che ne fanno a meno o ne hanno ridotto il consumo, mentre 32 famiglie benestanti su cento seguono lo stesso andamento: il calo è macroscopico. Grande differenza anche sul pesce, il 35,8% delle meno abbienti e il 12,6% delle più ricche non lo comprano o se ne cibano meno.

Da segnalare come ci sia un calo pronunciato anche sulla verdura: il 15,9% delle famiglie a basso reddito ne riducono il consumo a fronte del 4,4% di quelle economicamente più forti. Disparità più pronunciata sulla frutta dove i due numeri cambiano: il 16,3% fra i nuclei più poveri riducono l'acquisto e solo il 2,6% fra i più ricchi.


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"Le proteine animali sono come il cemento armato per un edificio, quindi anche quelle da uova e latte. Se si sceglie di fare una casa di soli mattoni, bisogna sperare che non ci sia mai un terremoto – ha rimarcato Giorgio Calabrese – Abbiamo bisogno di nutrirci e di equilibrio fra gli alimenti. Sempre contro ogni eccesso, abbiamo bisogno di elementi che non arrivano con gli integratori. Non possiamo togliere le proteine nobili di origine animale, come non possiamo togliere tutto il colesterolo mentre i messaggi televisivi vorrebbero farci credere il contrario: non sono per la carne, sono per il giusto equilibrio. Semmai bisogna stare attenti ai metodi di cottura. La nutrienza è cosa ben diversa dall'alimentazione, bisogna sempre osservare la qualità e la quantità dei nutrimenti necessari".

"Distinzioni per ceti sociali? Ci sono anche quelle per livello culturale – ha sottolineato Massimiliano Dona – Ce ne siamo accorti dalla qualità di molte domande che ci vengono poste dai consumatori: siamo rimasti allibiti. C'è evidente differenza fra chi sa spendere e chi no con questi ultimi che spesso sono fermamente convinti di essere nel giusto. Compiono errori clamorosi nell'acquistare mole di prodotti in offerta ma a scadenza ravvicinata, tanto che non riescono a consumarli tutti. Poi il marketing privativo, senza grassi, senza zucchero, senza sale, senza olio di palma, senza glutine. Una vasta gamma di prodotti privativi tanto reclamizzati che, per esempio, oggi si vendono più prodotti per celiaci di quanto sarebbe giustificato dalla presenza effettiva di persone affette da questo problema".



Problemi riguardo ai prezzi nei prodotti agricoli, come sottolineato da Roberto Moncalvo, il quale ha messo in risalto la scelta culturale, prima che economica, nella ricerca da parte del consumatore del prodotto tipico dell'ortofrutta, come nei mercati di Campagna Amica dove c'è l'incontro diretto con l'agricoltore: una risposta - secondo Moncalvo - che ha anche riscontro sul rapporto prezzo-qualità rispetto a strane situazioni del mercato tradizionale dove per esempio, per condizioni meteo avverse, per gelate improvvise o altro, un certo prodotto vede l'innalzamento del prezzo unitario che poi non riscende più, fenomeno che è accaduto piuttosto spesso. Anche questo incide sulla scelta della gente e sui canali d'acquisto.

Determinante poi il problema Internet, la diffusione massificante di informazioni su cibi non appartenenti alla tradizione italiana, teorie vere o del tutto false, spesso assorbite passivamente. Nel web molti si trasformano immediatamente in scienziati, in clinici e profondi conoscitori di ogni risvolto dell'alimentazione umana, acquisendo anche una certa violenza nell'affermare teorie e nel difenderle (cfr. articolo correlato).

Altro dato rilevato dal Censis è come nelle regioni a più basso reddito e capacità di spesa si concentri il più alto numero di obesi. La ricerca di cibo spazzatura, artefatto e proposto come alternativa agli alimenti naturali, la rottura di equilibri alimentari dettati anche da problemi di bilancio familiare, portano a questa grave disfunzione che parallelamente vede anche un aumento degli ipertesi: al Sud, complici il reddito inferiore del 24,2% rispetto al valore medio nazionale, e una spesa alimentare che cede del 16,6% nel periodo 2007-2015, gli obesi sommati alle persone in sovrappeso arrivano al 49,3% delle popolazione (sono il 42,1% al Nord e il 45% al Centro, aree dove il reddito medio è maggiore e la spesa alimentare cala di meno).



Come sottolineato da tutti, anche da Marino Niola giunge la considerazione che la privazione delle basi fondamentali dell'alimentazione tipica italiana stia distruggendo quella che è appunto la dieta mediterranea, caratterizzata da grande varietà e completezza, riconosciuta come la migliore al mondo, un modello nutrizionale del tutto unico. Ridurre il consumo di alimenti fondanti e tipici come carne, pesce, frutta e verdura, significa minacciare l'equilibrio nutrizionale nella vita delle famiglie italiane.

Per citare le parole di Luigi Scordamaglia, "il cibo che fa più male è quello che mette l'ansia".

Autore: G.G. per FreshPlaza
Data di pubblicazione: