L'integrazione tra la ricerca agronomica e l'indagine archeologica sta aprendo nuove prospettive per la valorizzazione del comparto ortofrutticolo. In questo contesto si inserisce Bio.Arch. 2025 Cultura Cibo Evoluzione, un progetto ideato e coordinato dalla sezione ricerca e sviluppo della OP Solco Maggiore con l'obiettivo di ricostruire le abitudini alimentari nell'area mediterranea tra la fine del III e l'inizio del I millennio a.C.
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"L'attività di ricerca che stiamo portando avanti risponde all'obiettivo di inquadrare il contesto agronomico mediterraneo dal punto di vista storico e archeologico", spiega Filomena Vocca, responsabile marketing di OP Solco Maggiore. "Le conoscenze acquisite in questo percorso arricchiscono l'offerta ortofrutticola con un panorama di informazioni che impreziosiscono il prodotto finale".
L'indagine si è concentrata sulla verifica dell'effettivo utilizzo di ortaggi durante l'età del Bronzo, avvalendosi della collaborazione dell'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Attraverso l'uso della spettroscopia infrarossa ATR-FTIR su frammenti ceramici antichi, il team di ricerca ha identificato i glucosinolati, metaboliti caratteristici delle Brassicaceae. Su sette campioni analizzati, quattro sono risultati compatibili con la cottura e la conservazione del cavolo.
"Attraverso queste indagini archeometriche, riteniamo possibile rivelare che un antenato del cavolo riccio venisse utilizzato a scopi alimentari già in periodi così antichi", sottolinea Filomena Vocca. "Le analisi chimiche diventano un supporto fondamentale per la ricerca, poiché i macroresti dei vegetali non sono di facile reperimento nel record archeologico; per questo motivo, ulteriori indagini saranno messe in atto per rendere più specifico il segnale e asserire con certezza la presenza del cavolo nella dieta preistorica".
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I dati raccolti finora suggeriscono un legame profondo e millenario tra il territorio mediterraneo e la coltivazione delle brassicacee, fornendo al settore un asset narrativo e scientifico basato su evidenze oggettive.
Questa ricerca agisce come una sorta di analisi forense applicata all'agronomia: proprio come un investigatore rileva tracce invisibili su una scena, gli scienziati utilizzano la chimica per leggere nei vasi antichi le "impronte digitali" delle verdure consumate millenni fa, restituendo alla filiera ortofrutticola moderna le sue radici più profonde.
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