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Dai suoi scarti un bioadditivo che conserva più a lungo frutta e verdura

Liquirizia, da infestante a prodotto di nicchia globale

Quando pensiamo alla liquirizia, spesso ci viene in mente il dolce iconico o l'estratto scuro e intenso. Ma dietro la sua lavorazione si nasconde una storia affascinante e un processo produttivo profondamente legato al territorio, in particolare alla Calabria.

Ciò che distingue la liquirizia - specialmente quella calabrese, riconosciuta anche dall'Enciclopedia Britannica come la migliore al mondo - è la sua origine. A differenza di molte altre colture, la liquirizia rimane ancora oggi una pianta spontanea, quasi infestante.

© Maria Luigia Brusco | FreshPlaza.it

La radice spontanea e la gestione del terreno
Conosciuta da oltre 35 secoli, la liquirizia divenne, a partire dal 1715 (anno in cui il Duca di Corigliano impiantò la prima fabbrica del genere in Calabria), fonte di progresso economico per la gente bruzia. I grandi proprietari terrieri calabresi, trovando questa radice nei loro terreni, decisero di trasformarla anziché scartarla. Questo gesto diede il via a una tradizione secolare. Dal XVIII secolo ebbe inizio la vivace azione produttiva dei conci, industrie di trasformazione della radice di liquirizia che cresceva spontaneamente nelle zone pianeggianti della provincia di Cosenza.

Oggi, benché non venga coltivata, l'approvvigionamento è regolato da accordi. La pianta cresce lungo tutta la costa jonica della Calabria. La sua radice cerca l'acqua in profondità (fino a 2 metri), garantendo una risorsa stabile anche in condizioni di caldo o di cambiamento climatico. Durante la raccolta, che avviene utilizzando aratri agricoli per sollevare il terreno, viene fatta una scelta fondamentale per la sostenibilità: si lasciano intenzionalmente pezzetti di radice nel suolo, permettendo così alla pianta di riprodursi.

Le radici vengono estratte dal terreno nel tardo autunno del terzo anno di "coltivazione"; dopo la sbucciatura, si procede all'essiccazione per essere messe in commercio sotto forma di bastoni. Le radici si fanno bollire per ottenere la liquirizia nera.

© Maria Luigia Brusco | FreshPlaza.it

Pianta, il cui nome significa "radice dolce", la liquirizia è un buon coadiuvante dei processi digestivi, possiede ottime proprietà rinfrescanti, antinfiammatorie, edulcoranti, espettoranti, emollienti.

Dai suoi scarti una pellicola che conserva più a lungo frutta e verdura
Nel panorama dell'innovazione legata alla sostenibilità, in cui green economy ed economia circolare stanno cambiando le logiche produttive, emerge una proposta che arriva direttamente dagli scarti della lavorazione della liquirizia. Si chiama Alkelux - "Alke," ispirato all'alchermes, un elisir ritenuto dagli alchimisti dell'antichità un rimedio universale, e "Lux," che significa luce - ed è un bioadditivo antimicrobico che promette di estendere la vita commerciale di frutta e verdura. Il prodotto nasce da una tecnologia brevettata che permette di ottenere, dai residui della radice di liquirizia, una polvere ecologica, biodegradabile, priva di metalli e dotata di un'elevata attività antimicrobica. L'idea è semplice: intervenire sul packaging, non sul prodotto, per conservare più a lungo la freschezza degli alimenti, con un approccio che unisce sostenibilità e innovazione.

Alkelux nasce nel 2024 come azienda innovativa, ma le basi risalgono al 2022 quando un gruppo di ricerca comincia a lavorare sulla tecnologia. L'impresa, fondata a Sassari da Matteo Poddighe e Davide Sanna, dispone oggi di un laboratorio all'avanguardia. Poddighe, inventore del sistema e dottore di ricerca in Scienze e Tecnologie Chimiche, ha sviluppato la struttura antimicrobica studiando superfici antivirali durante il periodo del Covid. Sanna, tecnico specializzato nelle applicazioni industriali, ha portato la ricerca verso la scalabilità produttiva. Nel 2024 il team si è allargato con l'ingresso di Carlo Usai ed Emina Bilanovic, che gestiscono la parte commerciale e contribuiscono a portare la tecnologia fuori dal laboratorio.

© John Pavel | Dreamstime

Il bioadditivo si presenta in forma di polvere ed è pensato per l'imballaggio attivo nel settore alimentare. La molecola alla base della tecnologia arriva dagli scarti della liquirizia grazie alla collaborazione con la Liquirgam di Cosenza, che ogni anno produce circa dodici tonnellate di residui di liquirizia biologica. Alkelux è un nanomateriale antimicrobico che può essere inserito in vaschette o buste realizzate in polipropilene, polietilene o PLA, oppure applicato come rivestimento su contenitori o su imballaggi a base di polpa di cellulosa. Nei test, fragole e mirtilli hanno mantenuto caratteristiche commerciali fino a una settimana in più rispetto ai packaging convenzionali. Il vantaggio è duplice: nessuna ripercussione sulla salute umana o sull'ambiente e nessuna modifica degli impianti produttivi da parte delle aziende che decidono di adottarlo.

Il percorso regolatorio per l'autorizzazione europea degli imballaggi attivi è già avviato e l'obiettivo è arrivare al mercato nel 2026 con le prime confezioni dotate di questo bioadditivo. Se la roadmap verrà rispettata, Alkelux potrebbe offrire al settore ortofrutticolo una soluzione concreta per prolungare la shelf life dei prodotti riducendo scarti e sprechi, coniugando efficienza, sicurezza e sostenibilità ambientale.

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