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Focus Istat

Cibo sempre più caro: in Italia prezzi alimentari su del 24,9 per cento dal 2021, oltre la media europea

I beni alimentari rappresentano nel 2025 oltre un quinto del valore economico dei beni e servizi consumati dalle famiglie italiane. Il solo cibo rappresenta, in media, il 16,6% della spesa. Trattandosi di beni in prevalenza necessari, si caratterizzano per la rigidità della loro domanda rispetto ad aumenti di prezzo. Inoltre, gli incrementi dei listini hanno un impatto rilevante sul potere di acquisto delle famiglie, soprattutto quelle a più basso reddito in considerazione della maggiore quota dei beni alimentari rispetto al totale dei consumi. Da ottobre 2021 a ottobre 2025, i beni alimentari hanno registrato aumenti di prezzo del 24,9%, un incremento superiore di quasi 8 punti percentuali rispetto a quanto evidenziato nello stesso periodo dall'indice generale dei prezzi al consumo armonizzato. A rivelarlo è l'Istat nel suo Focus "Le principali determinanti della crescita dei prezzi dei beni alimentari in Italia tra il 2021 e il 2025".

Nel dettaglio, gli alimentari freschi (o non lavorati) sono aumentati più di quelli lavorati (+26,2% e +24,3% rispettivamente); il prezzo del cibo, a settembre 2025 è cresciuto del 26,8% rispetto a ottobre 2021, con incrementi più ampi per i prodotti vegetali (+32,7%), latte, formaggi e uova (+28,1%) e pane e cereali (+25,5%).

© ISTAT

I prezzi degli alimentari iniziano a crescere nella seconda metà del 2021; subiscono un'impennata dall'inizio del 2022 fino alla metà del 2023, e continuano ad aumentare, seppure a tassi più moderati, anche nel periodo successivo. Il fenomeno non ha riguardato solo l'Italia ma è stato diffuso e ha colpito altri Paesi europei anche con maggiore intensità. I prezzi del cibo sono infatti aumentati, nel periodo in esame, del 29% per l'area euro (+32,3 nella Ue27), del 32,8% in Germania, del 29,5% in Spagna. La Francia ha registrato incrementi leggermente inferiori (23,9%) a quelli rilevati in Italia.

L'eccezionale aumento dei prezzi dei prodotti alimentari in Italia tra il 2021 e il 2023 trova origine in una combinazione di fattori, in gran parte esterni. A incidere sono stati soprattutto i rincari internazionali degli input produttivi, mentre le variabili interne hanno avuto un ruolo più contenuto, limitato soprattutto agli anni più recenti.

Già dalla seconda metà del 2021, la ripresa economica post-pandemica ha generato una domanda crescente di materie prime alimentari, scontrandosi con tensioni nelle catene di approvvigionamento globali e con una contrazione dell'offerta, aggravata da eventi meteorologici avversi nei principali Paesi esportatori.

La crisi energetica come acceleratore dell'inflazione alimentare
A partire da febbraio 2022, l'invasione dell'Ucraina e le sanzioni alla Russia - in particolare il blocco delle importazioni di gas naturale - hanno innescato un'ondata inflattiva sui beni energetici e, di riflesso, sul comparto alimentare. Tra ottobre 2021 e novembre 2022, in Italia i prezzi al consumo dei beni energetici sono aumentati del 76%, un dato nettamente superiore alla media dell'area euro (38,7%) e dell'Ue27 (36,8%), e ben oltre quanto registrato in Germania (42,7%), Francia (21,1%) e Spagna (2,9%).

L'impatto sul comparto degli alimentari non lavorati è stato diretto e pesante: in questo segmento, il peso degli input energetici sugli input totali (5,5%) è oltre il doppio rispetto alla media degli altri settori non energetici (2,2%) e superiore di un punto percentuale all'intera economia (4,4%).

Lo shock energetico ha colpito anche in modo indiretto, spingendo verso l'alto i costi dei prodotti intermedi. Emblematico il caso dei fertilizzanti, il cui prezzo è più che raddoppiato tra inizio 2021 e fine 2022, con effetti immediati sui costi di produzione agricola.

© Syda Productions | Dreamstime

Filiera sotto pressione ma margini in ripresa
Durante la fase di maggiore crescita dei prezzi dei prodotti alimentari non lavorati - dalla fine del 2021 alla metà del 2023 - i fattori interni hanno inciso in misura minore. I margini di profitto del settore primario sono rimasti pressoché stabili fino a metà 2023, mentre il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) è aumentato, ma meno rispetto ai costi unitari complessivi. Tra il terzo trimestre 2021 e lo stesso periodo del 2023, il prezzo dell'output agricolo è cresciuto del 20,2%, leggermente al di sotto dell'aumento dei costi degli input (+21%).

L'aumento dei prezzi dei prodotti non lavorati si è inevitabilmente trasferito sull'industria alimentare: nello stesso arco temporale, i prezzi alla produzione del comparto sono cresciuti del 21,4%, in linea con l'andamento delle materie prime agricole. L'elevata interconnessione tra agricoltura e industria alimentare, dove gli input intermedi sono rappresentati per il 53% da beni lavorati e per il 42% da non lavorati, ha amplificato la trasmissione dei rincari lungo tutta la filiera.

2024-2025: rallentamento dell'inflazione e stabilizzazione dei margini
Negli ultimi due anni, la tendenza si è attenuata: da settembre 2023 a settembre 2025 i prezzi al consumo degli alimentari sono aumentati del 4,4%. La moderazione dei costi degli input nel 2024 ha consentito un parziale recupero dei margini nel settore agricolo, che nella prima metà del 2025 si sono stabilizzati su livelli più alti rispetto alla media dell'ultimo decennio.

Dall'inizio del 2024, i prezzi dell'output agricolo sono rimasti sistematicamente superiori a quelli degli input, mentre la crescita dei prezzi alla produzione nell'industria alimentare si è progressivamente ridotta, pur mantenendosi sopra l'andamento delle materie prime. Nel 2025 i valori si sono stabilizzati, segnalando una fase di equilibrio dopo gli shock degli anni precedenti.

Per maggiori informazioni:
www.istat.it

Data di pubblicazione:

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