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L'Indice ISFA monetizza gli impatti sociali e ambientali

Quando il prezzo di mercato non racconta tutta la verità

Il settore ortofrutticolo europeo e italiano rappresenta una delle infrastrutture vitali dell'agroalimentare, garantendo sicurezza e qualità alimentare, sostenendo l'occupazione nelle aree rurali e alimentando intere filiere manifatturiere e logistiche. Tuttavia, dietro questo valore tangibile si nasconde un conto meno visibile, ma altrettanto rilevante: i costi ambientali, sociali e sanitari che non emergono nei prezzi di mercato e che, in realtà, gravano sulla collettività e sulle generazioni future.

© Lightpoet | Dreamstime

Per rendere misurabili questi impatti, è stato sviluppato l'Indice di Impatto Socio-ambientale delle Filiere Agroalimentari (ISFA), realizzato da Up2You per Gruppo Food. Si tratta del primo indicatore capace di tradurre in valore economico le conseguenze di diete squilibrate, dello sfruttamento delle risorse naturali e delle condizioni di lavoro lungo le catene di fornitura. L'indice analizza tre pilastri fondamentali, ovvero Ambiente, Nutrizione e Persone, permettendo così di comprendere quanto il prezzo reale dei prodotti sia più alto rispetto a quello che il consumatore paga al supermercato.

Nel comparto dell'ortofrutta fresca, la questione del fabbisogno idrico e della forte dipendenza dalla manodopera stagionale assume un ruolo centrale. Basti pensare alla frutta coltivata in Italia e Spagna, due Paesi che concentrano le maggiori superfici irrigate dell'Unione europea, e che impiegano centinaia di migliaia di lavoratori stagionali, spesso non comunitari, con frequenti criticità legate alle condizioni di impiego. A questo si aggiunge un altro dato: nonostante l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandi di consumare almeno 400 grammi di frutta e verdura al giorno, nel 2019 solo il 12% degli europei raggiungeva questo traguardo.

© Andrey Burkov | Dreamstime

Ortofrutta fresca: il caso delle banane
Lo studio ISFA ha analizzato in particolare la filiera delle banane, distinguendo tra quelle convenzionali e quelle del commercio equo e solidale proposte da Altromercato. Nel caso delle banane convenzionali, a fronte di un prezzo medio di mercato di 2,50 euro/kg, i costi nascosti ammontano a 0,82 euro, con un prezzo reale che raggiunge 3,31 euro/, cioè il 32% in più. Questi costi derivano soprattutto dall'eutrofizzazione causata dai fertilizzanti, dalle emissioni di gas serra e dalle problematiche etiche lungo la catena di fornitura.

Le banane Altromercato mostrano invece un quadro sensibilmente diverso. Pur avendo un prezzo leggermente superiore, pari a 2,80 euro/kg, i costi nascosti scendono a 0,52 euro e il prezzo reale arriva a 3,32 euro, con un aumento più contenuto del 19%. La differenza è sostanziale: nelle filiere Fairtrade i costi legati alla salute e sicurezza sul lavoro, alla parità di genere, al benessere dei lavoratori e alla condotta etica risultano praticamente azzerati, grazie a salari equi, premi garantiti e maggiore tutela dei produttori. L'impatto ambientale resta significativo, soprattutto per quanto riguarda l'uso dei fertilizzanti, ma l'esperienza dimostra come pratiche di filiera virtuose possano ridurre drasticamente gli oneri sociali nascosti.

© Frannyanne | Dreamstime

Conserve ortofrutticole: il pomodoro sotto la lente
Se ci si sposta sul fronte delle conserve, e in particolare sul pomodoro da industria, la fotografia diventa ancora più complessa. L'Italia è tra i leader mondiali nella produzione e trasformazione, con oltre 5,4 milioni di tonnellate processate nel 2023. Ma dietro la passata di pomodoro, uno dei prodotti simbolo della dieta mediterranea, l'ISFA rileva un costo nascosto molto elevato. A fronte di un prezzo di mercato di 2,90 euro/kg, il costo reale sale a 4,38 euro per effetto di un incremento del 51%.

Le cause principali sono legate alla perdita di biodiversità, allo sfruttamento delle risorse idriche in zone già in forte stress, come l'area di Pachino in Sicilia, e alle condizioni di lavoro stagionale nella raccolta e nella trasformazione. Si aggiungono, inoltre, i costi legati alla salute dei consumatori e alla condotta non sempre trasparente delle pratiche commerciali. È vero che il settore delle conserve può vantare una gestione più virtuosa degli imballaggi, grazie all'utilizzo diffuso di vetro e lattine facilmente riciclabili, ma questo elemento positivo non è sufficiente a compensare il peso degli altri fattori.

© Maximvlasenko | Dreamstime

Surgelati: i piselli come best practice
Un quadro diverso emerge invece dall'analisi dei prodotti surgelati, che nel 2023 hanno generato in Italia un valore di mercato di circa 5,8 miliardi di euro, con oltre un milione di tonnellate consumate. Qui la criticità principale riguarda la catena del freddo, che richiede molta energia e comporta l'uso di gas refrigeranti, ma al tempo stesso esistono margini concreti di miglioramento attraverso l'ottimizzazione energetica, ad esempio con compressori efficienti e sistemi di recupero del calore.

I piselli surgelati rappresentano il caso più virtuoso: con un prezzo medio di 4,00 euro/kg e un costo nascosto di 0,80 euro, il prezzo reale sale a 4,80 euro, segnando un incremento contenuto del 20%. Gli impatti più rilevanti sono riconducibili ancora una volta ai fertilizzanti, alle emissioni di gas serra e al raggiungimento di salari di sussistenza per i lavoratori, ma la loro incidenza complessiva resta inferiore rispetto ad altre filiere. Per questo i piselli surgelati sono considerati un prodotto "pronto" a valorizzare in chiave commerciale il proprio posizionamento di sostenibilità.

© Tomo Jesenicnik | Dreamstime

L'analisi ISFA mette dunque in luce come, dietro l'apparente convenienza dei prodotti ortofrutticoli, si celi un intreccio di costi che il mercato non riflette, ma che ricadono sulla società e sull'ambiente. La strada per ridurre questo divario passa da investimenti mirati nella decarbonizzazione, nell'efficienza idrica, nell'agricoltura rigenerativa e nella gestione etica della manodopera. L'Italia si colloca già in una posizione incoraggiante, con il 74% delle aziende agricole che ha adottato pratiche circolari, ma la sfida è ancora aperta e richiede un impegno collettivo per trasformare la sostenibilità da costo aggiuntivo a vero e proprio motore di competitività.

La metodologia alla base dell'Indice ISFA
L'indice ISFA adotta la metodologia di True Cost Accounting per trasformare in valore monetario gli impatti ambientali, sociali e nutrizionali lungo le filiere agroalimentari. Il processo di costruzione dell'indice si articola in quattro fasi: (1) Inquadramento degli obiettivi e il perimetro dell'analisi ("dalla culla al cancello") identificando gli stakeholder rilevanti; (2) Descrizione e analisi della catena del valore attraverso una mappatura dettagliata e un'analisi di materialità; (3) Misurazione e valutazione degli impatti, quantificandoli con dati primari e secondari e in seguito monetizzandoli; (4) Azione, cioè tradurre i risultati in indicazioni strategiche per imprese, consumatori e policy maker. L'indice si basa su un'analisi di materialità condotta esaminando i bilanci di sostenibilità di circa venti aziende leader delle filiere in analisi. Gli impatti emersi come materiali sono stati organizzati in tre pilastri - Ambiente, Nutrizione e salute e Persone - coprendo aspetti come benessere animale, carbon footprint, water footprint, biodiversità, eutrofizzazione, tossicità per la salute umana, salute e sicurezza dei consumatori e dei lavoratori, pratiche commerciali etiche, diversità e inclusione. Per ogni tema è stato scelto un indicatore, basato su metriche standardizzate e scientificamente validate (ad esempio studi di LCA o linee guida OMS). Gli impatti sono stati calcolati e normalizzati riferendosi ad 1 kg di prodotto per garantire la comparabilità; successivamente sono stati monetizzati tramite fattori economici di conversione, ottenuti dallo studio della letteratura, calcolando così il cosiddetto "true price gap": la differenza fra il prezzo di mercato e il costo reale per la società e il pianeta. Tale approccio modulare consente di adattare la valutazione alle specificità di ciascuna filiera, offrendo un quadro flessibile e robusto per guidare analisi di benchmarking e costruire strategie di transizione verso sistemi alimentari più sostenibili.

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