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Guarda il video realizzato da Università italiane ed estere

Stanchezza del terreno: la teoria del ruolo inibitorio del self-DNA

La stanchezza del terreno è un problema comune in agricoltura, che si manifesta soprattutto quando la stessa specie vegetale viene coltivata ripetutamente sullo stesso terreno. Questo fenomeno porta a diversi problemi agronomici, tra cui sviluppo radicale ridotto delle piante, minor vigore e produttività, e maggiore sensibilità alle malattie e agli stress ambientali.

Si tratta di un problema noto fin dai tempi antichi. Autori storici greci e romani, come Teofrasto e Columella, descrissero pratiche come la rotazione delle colture o il maggese per contrastare il declino produttivo delle monocolture, interpretato per lungo tempo come un impoverimento nutrizionale del suolo.

Rappresentazione della stanchezza del terreno in funzione dell'accumulo di self-DNA della pianta coltivata.

In tempi moderni, l'avvento dei fertilizzanti minerali e di sintesi non ha permesso di risolvere il problema, dimostrando la maggiore complessità del fenomeno. Già nel XIX secolo, alcuni studiosi hanno iniziato a esplorare l'idea che le piante potessero rilasciare sostanze tossiche nel suolo, una teoria che ha guadagnato terreno nel corso del tempo. Nel contesto italiano, ricerche sono state condotte dal Prof. Franco Zucconi, il quale ha sostenuto che, oltre agli essudati radicali, anche i residui colturali sarebbero determinanti nel rilasciare sostanze auto-tossine (cioè tossiche per la specie da cui hanno origine) nel suolo. Le sue ricerche rafforzerebbero l'ipotesi che la stanchezza del terreno abbia origini tossigene.

Più recentemente, il concetto di autotossicità è stato reinterpretato ed approfondito sulla base della scoperta del ruolo inibitorio e specie specifico del DNA extracellulare. Questa teoria è rappresentata nel video divulgativo recentemente pubblicato, che descrive il ciclo del DNA extracellulare negli ecosistemi e la sua ipotizzata capacità di determinare la stanchezza del terreno nei sistemi agrari.

Il video è stato realizzato dal gruppo di ricerca NoSelf, composto dai molti ricercatori afferenti ad Università Italiane ed estere, che in questi anni hanno approfondito i meccanismi biologici e le potenzialità applicative dell'inibizione da self-DNA.

Nel corso degli anni, lo stesso gruppo di ricerca, oltre ad approfondire il tema della stanchezza del terreno, ha evidenziato che l'inibizione da self-DNA sarebbe un fenomeno che riguarda non solo le piante, ma anche animali e funghi. Questa ulteriore teoria è alla base dello sviluppo della strategia di biocontrollo in agricoltura, basata sull'utilizzo del DNA delle specie indesiderate, siano essi funghi, insetti o piante. Si ritiene infatti che il DNA prelevato da un certo parassita o patogeno potrebbe essere utilizzato come principio attivo per inibire e controllare esclusivamente l'organismo target, in modo del tutto naturale e innocuo per le altre specie.

La scoperta del ruolo inibitorio del self-DNA permetterebbe di sviluppare strategie agronomiche più efficaci, ispirate alla biodiversità e agli equilibri degli ecosistemi naturali, senza effetti indesiderati sull'uomo e sull'ambiente.

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