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Il docente Alberto Grandi mette in guardia dalla corsa al "tradizionale" a tutti i costi

Moriremo di certificazioni e denominazioni d'origine?

"Troppe Igp e troppe Dop dell'ultima ora. Troppa ricerca di una tradizione che non esiste, di un'italianità produttiva e alimentare che non sempre è superiore alle altre culture europee e del mondo". Sono solo alcuni dei concetti espressi da Alberto Grandi, storico dell’Alimentazione e docente universitario a Parma, all’incontro organizzato nel Museo dell’Ecologia di Cesena alcuni giorni fa. Vista anche la caratura del personaggio, la serata ha registrato il tutto esaurito.

In primo piano Alberto Grandi; dietro, l'organizzatore dell'incontro Lorenzo Rossi

Grandi ha scritto, già da alcuni anni, il volume "Denominazione di origine inventata", libro che smonta molta della narrazione che sta attorno ai prodotti (anche ortofrutticoli), alla cucina e al cibo italiani. Nello scorso mese di marzo, una sua intervista pubblicata sul Financial Times di Londra ha fatto il giro del mondo.

"Io sono uno storico dell’alimentazione. Studio le fonti e i documenti. Tutta la poesia e la retorica la lascio alle trasmissioni tv. E di cuochi, in tv, non ne mancano. La stragrande maggioranza degli italiani ha vissuto in povertà fino a metà degli anni ’50. Milioni di italiani non solo dal sud, ma principalmente dal nord, emigravano per cercare un tozzo di pane. Quindi, a quale cucina stiamo pensando, se un terzo dei contadini veneti soffriva di mancanza di vitamine perché mangiava solo polenta?”.

Tanta gente all'incontro al Museo dell'Ecologia di Cesena, perfettamente organizzato dall'associazione Orango

Quindi Grandi sostiene che tutto il marketing, lo storytelling, l'emozionalità, l'effetto wow, tutte le affermazioni circa le 'eccellenze del territorio' e codeste 'frasi fatte' che riempiono i comunicati dei più blasonati uffici stampa nazionali, altro non sono che "fuffa, strategie poetiche per vendere. E per carità, non c'è nulla di male, la poesia è un motore della vita; l'importante è che non mi si venga a dire che sono cose reali, quando il mito della cucina italiana e dei prodotti tipici è stato creato 40-50 anni fa al massimo, a tavolino".

Grandi ha portato qualche esempio anche nell'ambito dell'ortofrutta: "Tante IGP si basano su genetica estera, magari ibridi F1 che ogni anno vanno ricomprati. Certe varietà di pesche, di pomodoro o di albicocche non hanno nulla di tipico di un territorio, proprio perché in quel territorio non sono mai esistite fino a qualche anno fa".

E, non a caso, spesso i disciplinari IGP cambiano le varietà in elenco proprio per un aggiornamento. "Va tutto bene, per carità, però il messaggio che passa al consumatore è che c'è dietro una lunga storia, una tradizione, ma non è vero. Si fanno risalire mele, pere e pesche al tempo dei Romani, poi nel Medioevo e nel Rinascimento. Insomma, sembra che in Italia si sia sempre mangiata alta qualità, mentre fino agli anni '50 eravamo un popolo di emigranti con la pancia quasi sempre vuota", ha concluso il docente.