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Il commento di un produttore della Basilicata

"Le nostre castagne, se continuiamo come adesso, non avranno mai un'identità"

Nel solo areale del Vulture, territorio nel nord-est della Basilicata in cui si concentra l'80% della produzione regionale, si contano oltre 2mila ettari destinati a castagno, ma solo mille di questi in realtà sono impianti da frutto. Altri siti particolarmente idonei alla produzione di castagne sono poi il Pollino, le aree del Parco Regionale di Gallipoli Cognato e il Parco Nazionale dell'Appennino Lucano.

La castanicoltura assume una notevole importanza nell'alta collina e montagna della Basilicata poiché, oltre all'aspetto economico, va considerata la tutela della biodiversità e la prevenzione dal dissesto idrogeologico che tale coltivazione è in grado di fornire. In questi ultimi anni, però, molti sono stati gli episodi di abbandono dei castagneti, poiché ritenuti non più economicamente convenienti.

L'assenza di una vera e propria filiera castanicola che aiuti a valorizzare e tutelare una specie presente in regione dai tempi di Federico II non fa altro che ridurre gradualmente l'interesse verso questa coltivazione, aggravata dalla mancanza di aggregazione.

In Basilicata, la dimensione media dei castagneti privati è di un ettaro e buona parte di questi provengono da conversioni dalle piante da legno a quelle da frutto. Spesso le ceppaie hanno oltre 100 anni. Molte piante, ora in produzione, non vantano alti livelli di produttività, oltre a dimostrarsi particolarmente suscettibili agli attacchi di parassiti, complice pure il cambiamento climatico.

Occorre dunque che operatori e istituzioni lavorino per orientare la produzione verso il mercato del fresco, favorendo la cooperazione e migliorando i castagneti produttivi, al fine di ottenere un prodotto competitivo sui mercati, in termini di qualità e quantità.

Un castanicoltore locale commenta: "Più del 70% dei frutti raccolti in Basilicata viene destinato all'industria e lavorato in Campania, insieme alle castagne coltivate in altre regioni centro-meridionali (come Lazio e Calabria). Ovviamente, il prodotto destinato alla trasformazione viene venduto a prezzi più bassi. Mancano dunque canali diretti per il prodotto da consumo fresco, necessari a far aumentare il valore aggiunto del settore e stimolare i produttori a proseguire l'attività. Le nostre castagne, se continuiamo come adesso, non avranno mai un'identità. Spesso i frutti di calibri più piccoli e quindi non idonei per i mercati e l'industria non ci vengono neppure pagati, quando invece potrebbero essere destinati a specifici usi, come l'alimentazione animale. Anche gli scarti delle potature, piuttosto che bruciati, potrebbero essere inseriti in un indotto di economia circolare per la trasformazione prima in cippato e poi in pellet. Ogni 40-50 anni occorre un ringiovanimento della parte area degli alberi. In pochi lo fanno, perché significherebbe rinunciare alla produzione, oltre che affrontare notevoli spese".