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Demeter Italia ha acceso i riflettori sul tema

Il biologico italiano necessita di un'ottica di sistema

Il convegno "Più Bio per tutti, ce lo chiede l'Europa. Siamo pronti?", voluto da Demeter Italia in occasione di Sana 2023, è stata l'occasione per focalizzarsi su due aspetti. Il primo ha riguardato il ragionare sugli obiettivi del Green new deal, che indica un percorso ben definito, orientato a trasformare l'Unione europea nel primo territorio a impatto climatico zero entro il 2050, in particolare nelle strategie che riguardano più da vicino il mondo dell'agricoltura. Il secondo è servito per fare chiarezza sulla situazione italiana dal punto di vista produttivo, normativo e per quel che riguarda la consapevolezza dei cittadini riguardo un tema così importante per il futuro del nostro Paese.

La tavola rotonda, moderata dalla giornalista Cinzia Scaffidi, si è avvalsa delle riflessioni di rappresentanti del settore scientifico, produttivo e delle organizzazioni della società civile.

Gli obiettivi della Farm to Fork da raggiungere entro il 2030 consistono nella riduzione del 50% degli agrofarmaci chimici (fertilizzanti di almeno il 20% e vendite di antimicrobici e antibiotici del 50%), oltre al raggiungimento di una quota del 25% del suolo agricolo dedicato al biologico entro il 2030. In Italia i terreni a conduzione biologica sono circa il 18% della SAU, una situazione decisamente buona rispetto ad altre nazioni europee. Perciò l'obiettivo del 25% può verosimilmente essere superato, ma i relatori hanno concordato sul fatto che questo traguardo quantitativo non possa essere considerato in sé. Deve essere visto in un'ottica di sistema.

Francesco Torriani (nella foto sopra), coordinatore del settore biologico dell'Alleanza delle cooperative agroalimentari italiane, ha sottolineato la necessità di incentivare le "politiche agricole a favore della produzione biologica, in modo che ne beneficino non solo le singole aziende, ma la filiera produttiva nel suo complesso, per un sistema 'smart', sostenibile e professionale". Secondo Torriani, le stesse politiche utilizzate per il settore convenzionale non funzionano e c'è il rischio che il comparto biologico venga "normalizzato".

Maria Letizia Gardoni (nella foto sopra), presidente Coldiretti BIO e Biodistretto delle Marche, ha esposto le ragioni di uno sguardo fiducioso verso il futuro ricordando come "la conversione al biologico e alla biodinamica continua ad attrarre nuove aziende, in particolare imprese condotte da donne e da giovani, senza dimenticare però che la criticità è rendere il contesto produttivo il più proficuo possibile, a livello di prezzi e consumi". Secondo Gardoni, mancano delle filiere strutturate sul biologico e sul biodinamico e, nell'ambito della conversione al bio, sono necessari formazione, preparazione, ricerca pubblica e soluzioni alternative per affrontare le criticità attuali.

Franco Ferroni (nella foto sopra), dell'ufficio sostenibilità WWF e coordinatore della coalizione "Cambiamo Agricoltura", ha ribadito l'importanza di "una grande alleanza tra mondo agricolo, consumatori e associazioni ambientaliste. Il piano strategico nazionale anticipa al 2027 il raggiungimento del 25% delle superfici coltivabili a conduzione biologica e la filiera produttiva deve dimostrare di saper cogliere questa opportunità e di perseguire gli obiettivi del Green Deal con un approccio sistemico". Secondo Ferroni, infatti, gli obiettivi del Green deal non possono essere raggiunti per compartimenti stagni. "Inoltre, il consumo di prodotti biologici non può aumentare solo in base alle scelte dei consumatori".

Sull'importanza dell'attività, è intervenuta anche Mariagrazia Mammuccini (nella foto sopra), presidente Federbio. "La Farm to Fork impone un modo di lavoro congiunto, in particolare su quattro fronti: i prezzi (talvolta troppo allineati con quelli dei prodotti convenzionali), le certificazioni (la burocrazia costituisce ancora un limite soprattutto per le piccole aziende), i mezzi tecnici (per registrare un principio attivo di origine naturale bisogna seguire lo stesso iter di quelli a formula sintetica) e la zootecnica, con la riduzione degli allevamenti intensivi per rimettere in piedi il legame tra l'animale, l'uomo e la terra".

E proprio sull'elemento terra Damiano Di Simine (nella foto sopra), responsabile politiche del suolo Legambiente, ha ricordato che "finalmente è arrivata una proposta della Commissione europea che tiene in considerazione la salute del suolo. È però indispensabile lavorare per non far prevalere la visione delle corporazioni agricole europee al fine di intraprendere un viaggio verso un nuovo paradigma agricolo, in grado di sovvertire l'agricoltura convenzionale degli ultimi 70 anni". Di Simine ha sottolineato che salute e sicurezza alimentare devono viaggiare insieme, cui va aggiunto anche l'elemento sostenibilità.

Dalla salute del suolo a quella delle persone, il passo è molto più breve di quanto non si creda. Renata Alleva (nella foto sopra), nutrizionista e componente della giunta esecutiva e del comitato scientifico ISDE Italia (Associazione Medici per l'Ambiente), ha evidenziato che "è sempre più difficile trovare un individuo che non sia stato esposto a contaminanti e agrofarmaci. E chi produce è più a rischio di chi consuma: i danni all'organismo possono portare alla comparsa di patologie gravi. Le politiche agricole da sole non bastano, e bisognerebbe pensare a iniziative per l'educazione alimentare, soprattutto nelle scuole".

In questo quadro così complesso, i consumatori possono giocare un ruolo chiave e Federico Varazi (nella foto sopra), vicepresidente di Slow Food Italia, ha precisato che sono le aziende a "dover fornire ai consumatori tutti gli elementi per fare la scelta migliore; solo in questo modo questi ultimi potranno scegliere consapevolmente prodotti che facciano loro del bene, comprendendo il valore di una spesa che è non è solo alimentare, ma è un investimento in ambiente e salute".

In altri Paesi europei questa consapevolezza è già forte, come dimostrano le aziende biodinamiche italiane, che mediamente fatturano per il 70% al di fuori del Belpaese.

Enrico Amico (nella foto sopra), presidente di Demeter Italia, ritiene che "questo succeda perché, attraverso un marchio riconosciuto come Demeter, il consumatore instaura una relazione di totale fiducia nei confronti del produttore. E questa fiducia non deve essere mai tradita. In quest'ottica, per incentivare tale processo anche da noi, abbiamo bisogno di strumenti, come ricerca e formazione che, nel momento in cui non ci saranno più i finanziamenti europei, rendano sostenibile a lungo termine la transizione verso il modello biologico e biodinamico". Secondo Amico, quello biodinamico è un modello che può essere di esempio al giorno d'oggi per affacciarsi alla transizione, perché già esiste.

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