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Cipolla bianca di Isernia: necessaria una filiera o si rischia di perdere il patrimonio genetico di questa varietà

Il Molise è una delle regioni italiane con la più alta percentuale di biodiversità, dovuta principalmente alla sua verginità ambientale e alla bassa densità abitativa. Ciò ha permesso la conservazione, nel corso dei secoli, di numerose specie ed ecotipi animali e vegetali, tra cui rientra la cipolla bianca di Isernia, che oggi sta però rischiando di scomparire.

Altissima qualità e un marchio DeCo, ma un limitato areale e una bassa produzione per questa cipolla, che rappresenta una nicchia per pochi, al momento. Martedì 28 giugno 2022, si è tenuto un convegno scientifico su questo pregiato bulbo, patrimonio agroalimentare molisano. Un'occasione di divulgazione scientifica, che è servita ad avviare una riflessione sul suo rilancio e sulla sua commercializzazione.


Lo stand, allestito dai soci della cooperativa sociale Lai (Lavoro anch’io), tra i promotori dell’iniziativa. La cooperativa da anni collabora con l’Unimol per la produzione e la riqualificazione di colture autoctone, quale appunto la cipolla bianca di Isernia, che rischiano di scomparire dalle nostre tavole. (Foto: Pagina Facebook Isernia Informa)

All'incontro sono intervenuti il professor Antonio De Cristofaro, docente della Facoltà di Agraria, il quale ha illustrato il contributo dell'Università degli Studi del Molise allo sviluppo della filiera della cipolla bianca di Isernia. A seguire, l'intervento del responsabile dell'Ufficio Sviluppo agricolo dell'Arsarp Isernia, Giacomo Verrecchia, che ha relazionato sugli aspetti tecnici del disciplinare di produzione del bulbo locale. A concludere, Andrea Petraroia, tesoriere dell'Associazione cipolla bianca di Isernia, ha parlato della realtà e delle prospettive di sviluppo del prodotto.


Da sinistra: l'assessore comunale Luca De Martino, Antonio De Cristofaro, docente Unimol, e Giacomo Verrecchia, agronomo.

"La prima emergenza è sicuramente quella di ampliare la base produttiva, quantomeno riportandola nei terreni più vocati, avvalendosi di strumenti che la politica regionale, nazionale e comunitaria mettono a disposizione. Bisogna però portare avanti un discorso di filiera o micro-filiera, inizialmente, e di organizzazione della produzione. E su questo prodotto varrebbe la pena farlo. Dai dati storici, la cipolla bianca di Isernia non ha mai spiccato per volumi elevati. Nella zona isernina, fino al 1926 venivano adibiti a tale coltura circa 50 ettari frammentati che producevano mediamente 7-8 tonnellate", ha dichiarato Antonio De Cristofaro.


La cipolla bianca di Isernia (Foto: Pagina Facebook Cipolla bianca di Isernia)

"I motivi per cui vale la pena investire sulla cipolla bianca di Isernia sono diversi. Il primo è dato dalle sue caratteristiche organolettiche: questo bulbo è ottimo. La buona rusticità è il secondo, mentre la sua resilienza/tolleranza alle fitopatie fungine e all'attacco degli insetti è il terzo motivo - ha proseguito De Cristofaro - Quest'ultimo aspetto non è da sottovalutare, in quanto richiede ai produttori un utilizzo inferiore di sostanze chimiche, aspetto in linea con le attuali politiche europee. Il quarto motivo, ma non meno importante, è la sua diversità: è un prodotto riconoscibile per le sue peculiarità organolettiche e per la sua morfologia. Questo è un enorme valore aggiunto, al fine di fidelizzare il consumatore".

Secondo De Cristofaro, anche la spiccata vocazionalità del territorio non è da sottovalutare. Unica pecca è il ciclo colturale lungo.


Da sinistra: Luca De Martino, Antonio De Cristofaro, Giacomo Verrecchia e, da remoto, Andrea Petraroia (Foto: Pagina Facebook Cipolla bianca di Isernia

Prima di soffermarsi sugli aspetti tecnici del disciplinare di produzione della cipolla bianca di Isernia, Giacomo Verrecchia ha sottolineato che "il problema di questo bulbo locale è quello di una cultivar a rischio di erosione genetica. Stiamo, perciò, rischiando di perdere il patrimonio genetico di questa varietà e di tante altre. Bisogna invece tutelarlo".

Da remoto, infine, Andrea Petraroia ha dichiarato: "Mediamente, un ettaro di cipolla rende tra 30 e 40 tonnellate. Rispetto al 1926, si sono compiuti passi da gigante in questo senso, grazie alla meccanizzazione. Ma ad oggi l'areale si è ridotto di circa 10 volte. Gli ettari messi a disposizione per tale coltura non dovrebbero superare i 4-5 ettari in tutto il territorio isernino. Tramite la nostra Associazione, vogliamo perciò puntare al rilancio del bulbo locale, creando una filiera che inglobi produttori, trasformatori, venditori e semplici cittadini. Il nostro obiettivo è chiamare a raccolta quanti più cipollari possibile che, nonostante la situazione non idilliaca della nostra città, credono che essa possa ancora risollevarsi, soprattutto investendo in questo prodotto, come volano di crescita economica del territorio".