Nell'era della transizione ecologica, l'attenzione alle fonti energetiche rinnovabili è sempre crescente. Ma l'interesse (economico e ambientale) per questo importante cambio di passo rischia di ridurre drasticamente i suoli fertili finora destinati alla produzione agricola, complici anche le varie vicissitudini commerciali e climatiche che mettono sempre più a dura prova gli agricoltori italiani.

Negli ultimi mesi, diversi sono stati i casi di produttori ortofrutticoli che, allettati dalle alte offerte, hanno deciso di vendere o affittare i propri terreni agricoli alle piccole e grandi imprese che si occupano di realizzare impianti di fotovoltaico. A rendere più facili tali operazioni, tra l'altro in un periodo di post-pandemia, è l'ingente disponibilità di denaro pubblico e privato. Ma se da una parte è vero che occorre aumentare la produzione elettrica rinnovabile (+50% entro il 2033 – circa 50 gigawatt rispetto ai 21 di oggi), dall'altra è necessario individuare terreni idonei per l'installazione di pannelli solari, senza utilizzare o proporre zone agricole, ma sfruttando magari aree industriali dismesse o gli stessi tetti dei capannoni o magazzini delle aziende.

Le regioni in cui si contano i maggiori impianti sono: Sicilia, Puglia, Sardegna, Veneto, Lazio, ma anche Campania, Calabria e Basilicata: tutti territori a forte vocazione agricola. Rispetto ad altre aree, le aziende del fotovoltaico tendono a preferire l'acquisto o l'affitto (requisito fondamentale per poter ottenere l'autorizzazione dagli enti preposti) di terreni agricoli possibilmente pianeggianti, poiché pronti per l'uso e di facile installazione, incuranti del fatto che, al contempo, si contribuisce non solo a ridurre la superficie utile per la produzione alimentare, ma anche a snaturare i nostri paesaggi.