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La dura verita'

Piu' consumatori comprerebbero frutti e ortaggi "non belli" se etichettati come "brutti"

Pochi esperti di marketing consiglierebbero ai clienti di definire i loro prodotti "brutti", ma una nuova ricerca della UBC Sauder School of Business dimostra che, quando si tratta di vendere prodotti ortofrutticoli deformi, etichettarli come "brutti" può essere un buon espediente per il successo nelle vendite.

Secondo un recente rapporto, gli agricoltori statunitensi buttano via ogni anno fino al 30% dei loro raccolti - ossia 66,5 milioni di tonnellate di prodotti commestibili - a causa di imperfezioni esterne. Uno studio precedente aveva rilevato che i retailer americani buttano via oltre 15 miliardi di dollari all'anno in prodotti commestibili. Inoltre, 1,4 miliardi di ettari e il 25% dell'acqua dolce del mondo vengono utilizzati per coltivare prodotti che verranno poi gettati via.

Nel 2014, la catena di supermercati francese Intermarché si guadagnò la ribalta internazionale con la commercializzazione di prodotti deformi, etichettati come "brutti" e, da quel momento, i rivenditori alimentari di tutto il mondo hanno lanciato delle campagne per vendere prodotti ortofrutticoli "imperfetti" o "con personalità".

Alcuni hanno avuto successo, mentre altri rimasti invenduti ma, finora, i ricercatori non hanno spiegato esattamente perché i consumatori rifiutano i prodotti imperfetti o quale approccio di marketing può stuzzicare i loro appetiti.

Per questa ricerca, i ricercatori dell'UBC Sauder hanno condotto sette studi che hanno testato l'efficacia dell'etichetta "brutto'' sul prodotto, consentendo ai partecipanti di acquistare prodotti ortofrutticoli in un mercato agricolo e online, e analizzando i preconcetti delle persone sugli alimenti imperfetti.

E' interessante notare come i consumatori si aspettavano che i prodotti imperfetti fossero meno gustosi e persino meno nutrienti, rispetto agli alimenti tradizionalmente accattivanti.

Ma non ci sono solo brutte notizie. I ricercatori hanno anche scoperto che quando il prodotto è etichettato come "brutto", l'esitazione del consumatore scompare, e non è a causa dell'umorismo o dell'originalità. "Definire gli articoli brutti segnala ai consumatori che l'unica differenza tra i prodotti è l'aspetto esteriore - spiega Mookerjee -  il che li rende consapevoli dei loro pregiudizi e molto più disponibili ad acquistare i prodotti meno accattivanti".

I ricercatori hanno testato la loro ipotesi con più studi sul campo, incluso uno in un mercato agricolo locale dove hanno venduto pomodori, carote e patate sia perfetti che imperfetti. Non solo hanno scoperto che i clienti spendevano di più per i prodotti deformi, quando erano etichettati come "brutti", ma hanno anche speso di più per quei prodotti brutti che per i cibi convenzionalmente più accattivanti.

E anche se il prodotto brutto è stato venduto con uno sconto del 25%, si è rivelato più redditizio per i venditori perché il costo d’acquisto era inferiore.

Per maggiori informazioni:
UBC Sauder School of Business
University of British Columbia
Henry Angus Building - 2053 Main Mall
Vancouver, BC V6T 1Z2 - Canada
+1 604 822 8500

Data di pubblicazione: