Ma a chi conviene gettare la croce addosso alla ricerca e all'innovazione varietale in agricoltura?
Cioè è come se qualcuno si scandalizzasse se un'automobile di marca - che è un mezzo altamente inquinante, ma d'altro canto indispensabile, progettato e realizzato mediante tecnologie d'avanguardia e dunque protetto da brevetto - comporti anche un pagamento, nel momento in cui si decide di utilizzarla.
Se la ricerca e l'innovazione varietale in agricoltura servissero soltanto, come è stato detto in trasmissione, a "vendere pesticidi" o a "rendere una mela un po' più gialla o un po' più rossa", dubito che qualcuno sarebbe disposto a investire (a monte) o a pagare (a valle) per averne i frutti.
Qualora l'obiettivo della trasmissione fosse stato quello di riflettere sull'esigenza di finanziare la ricerca pubblica in agricoltura, senza lasciarla in appannaggio a compagnie private che (per dovere di cronaca) investono milioni di dollari l'anno in innovazione, direi che l'intento non è stato raggiunto.
Criminalizzare i brevetti vegetali, infatti, significa insinuare nell'opinione pubblica il dubbio che chiunque intenda apportare miglioramenti nel settore agricolo, lo faccia solo a scopo di lucro; quando è evidente che la ricerca (tanto quella pubblica, quanto quella privata) si sforza di rispondere a ben altre esigenze produttive, come la lotta alle principali fitopatie delle colture e/o l'ottenimento di un maggiore appeal commerciale delle produzioni e/o un loro più elevato valore nutrizionale, a tutto vantaggio degli agricoltori e dei consumatori.
Il vero scandalo, semmai, è la frode e il furto ai danni della proprietà intellettuale che, a pieno titolo di legge, viene attribuita ai brevetti vegetali, così come a qualsiasi altro prodotto coperto da copyright.
Clicca qui per rivedere la puntata di Report di ieri.