Un paio di settimane fa, presso il Mercato pesche di Sommacampagna (Verona), si è tenuto un incontro di aggiornamento su drupacee. Fra i relatori Alessandro Liverani del Crea, Unità di ricerca per la frutticoltura di Forlì.

Alessandro Liverani, direttore del Crea-FRF Forlì
"Miglioramento genetico del pesco per la resistenza a Sharka e per caratteri qualitativi e innovativi" era il titolo della sua relazione. Il professor Carlo Fideghelli, invece, ha fatto il punto sull'aggiornamento varietale, evidenziando le varietà di pesco tolleranti il virus.
"Sharka è una virosi conosciuta da tutti gli addetti del settore – ha esordito Liverani – non fosse altro che i primi casi sono stati riscontrati nel Nord d'Italia negli anni '70, per poi diffondersi negli anni '80 a partire da Emilia Romagna e Piemonte. Ma i problemi gravi sono esplosi negli anni '90 con la diffusione del ceppo M (Markus) particolarmente virulento su pesco. Al momento, le uniche zone in cui non è stata riscontrata la presenza, sono Umbria, Marche e Abruzzo, anche perché qui la coltivazione è poco diffusa".

Sintomi di Sharka su pesche (Foto: I. Žežlina)
La ricerca sta proseguendo e lo scorso anno, a Milano e a Cesena, si sono svolti due convegni internazionali per fare il punto della situazione. "Circa la valutazione del nuovo materiale genetico – ha aggiunto Liverani – vi sono alcune cultivar che stanno dando segnali promettenti. Dal programma di miglioramento genetico in svolgimento presso l'Istituto di frutticoltura di Plovdiv (Romania), sono state ottenute alcune cultivar tra le quali la più promettente come resistenza appare 'Spasena' ottenuta dall'incrocio (Hale x Dupnishka) x Hale. Spasena non ha manifestato sintomi in nessun organo ed è risultata negativa al test ELISA per 5 stagioni di coltivazione in ambiente endemico".

La fioritura è un buon momento per verificare la presenza di sharka
Liverani precisa che "Nelle azioni future di breeding per la resistenza, sarebbe più pratico, economico ed efficace operare direttamente in un'area endemica, con la possibilità di testare numerose ed ampie popolazioni". I risultati della prova "out-door" condotta in Veneto da CREA-FRF su materiale considerato resistente da inoculazioni artificiali, hanno confermato la forte aggressività del PPV-M per aver infettato il 70% dei genotipi ritenuti resistenti in soli quattro anni di sviluppo vegetativo.
Nelle zone dove Sharka è endemica, l'uso di materiale tollerante potrebbe essere un'alternativa. Molti fattori (clima, epoca di maturazione, stato sanitario, ceppi del virus) influenzano tuttavia la tolleranza, pertanto questa strada necessità di una accurata sperimentazione volta a chiarire questi aspetti".
E' in corso un confronto sull'idea di coltivare le varietà tolleranti in zone endemiche: da un lato c'è chi la considera una possibilità per continuare a coltivare il pesco in queste zone; dall'altro viene vista come un ulteriore pericolo di diffusione della malattia poiché le piante tolleranti si comporterebbero come "portatrici sane" del virus.
Il miglioramento tradizionale richiede tempi molto lunghi per rompere l'associazione tra resistenza e bassa qualità dei frutti. Nuove metodologie potranno consentire di abbreviare questi tempi.
Ci sarebbe tanto da lavorare su Prunus davidiana (clone P1908). E' resistente a Sharka, Oidio, afide verde, Bolla, ma la resistenza quantitativa si è dimostrata difficile da controllare. La ricerca sta lavorando anche sull'impiego del mandorlo (Prunus dulcis) come fonte di resistenza a Sharka, in quanto sarebbe un ottimo parentale per trasmettere la resistenza.
"Allo stato attuale – ha concluso Liverani – diverse attività hanno permesso di trovare varietà tolleranti, ma non sempre con un comportamento univoco. La ricerca di fonti di resistenza e di nuove metodologie per introdurla in pesco, continua".
Contatti:
Unità di ricerca per la frutticoltura (FRF)
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