
L'ex Istituto sperimentale per la Frutticoltura di Forlì, oggi CREA, è stato fra i primi istituti italiani ad interessarsi di Nashi, importando le principali cultivar giapponesi e cinesi. Dopo un boom negli anni '90, oggi sono rimasti pochi agricoltori a coltivarlo e ancor meno aziende a commercializzarlo. Fra queste, è da ricordare la Trybeco di Cuneo (www.nashitrybeca.it).
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Giulio Patuelli è un agricoltore di Bagnacavallo (Ravenna) che ogni anno produce circa 8-9 tonnellate di nashi. "E' un frutto dal sapore strano - ci ha detto ieri quando lo abbiamo raggiunto al telefono - in quanto sembra una pera, ma il gusto è tutt'altro. Sembra una mela succosa. E' molto produttivo e la PLV non è male, considerando che è meno delicato di una pera e servono meno trattamenti. Occorre solo diradare bene per ottenere il calibro. Negli scorsi anni, i prezzi hanno oscillato fra i 15 e i 40 centesimi il chilogrammo. Quest'anno pare che ci sia più richiesta. Ho raccolto tutta la produzione una decina di giorni fa, in leggero anticipo rispetto al normale".

"Il primo convegno sul nashi - aggiunge Rivalta - si svolse in Francia nel 1988 e, all'epoca, in Italia eravamo agli inizi della valutazione di questo frutto. Già nel 1988 fu pubblicato il libretto "Le Nashi" dal Ctifl, poi in seguito fu tradotto in italiano da Ferdinando Cossio "Il Nashi pero giapponese". A mio parere oggi, se pubblicizzato a dovere come è stato fatto con il melograno, il nashi avrebbe possibilità di successo, visto l'alta percentuale di magnesio contenuto nei frutti".