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Funky Tomato, un brand caporalato-free contro lo sfruttamento agricolo

Funky Tomato è un'impresa solidale che in Basilicata, a Palazzo San Gervasio, e in Puglia, a Cerignola, produce e trasforma pomodori di alta qualità a filiera partecipata.



Un record di 15mila prodotti venduti online, tra bottiglie di salsa, pelati e pomodoro a pezzi, prodotti in aree a rischio di fenomeni di sfruttamento della terra e della manodopera.

L'Associazione, nata nel 2016, è composta da giovani lavoratori italiani e stranieri impegnati da alcuni anni nel monitoraggio e nella denuncia delle condizioni di vita e di lavoro dei migranti stagionali impiegati in agricoltura.

Nella zona dove hanno scelto di lavorare e in altre del Sud Italia, la filiera del pomodoro coinvolge migliaia di agricoltori e un centinaio di stabilimenti di trasformazione, per un giro d'affari annuo compreso tra 1,5 e 2 miliardi di euro.

Funky Tomato nasce dalla volontà di dare una risposta di qualità alle dinamiche di speculazione della terra e dei braccianti impiegati nella produzione del pomodoro, dimostrando che si può interagire con gli attuali processi economici anche facendo delle scelte oneste. Ecco perché l'azienda opera con criteri trasparenti nel rispetto della Carta d'Intenti Funky Tomato.


Un racconto dell'azienda virtuoso e "in chiaro" che vanta tra i punti di forza anche la trasparenza in etichetta, superiore per accuratezza anche quella imposta per legge ai prodotti biologici

"Speriamo che la sperimentazione di quest'anno possa proseguire e ampliarsi, consentendoci di dare stipendi anche alle altre persone che hanno contribuito al progetto. La nostra intenzione non è ricavare profitti, ma nemmeno fare, semplicemente, volontariato o solidarietà. Noi vorremmo mostrare che un'economia diversa del pomodoro è possibile", dichiara Giulia Anita Bari, che per il progetto coordina la gestione e la comunicazione, e che al momento è tra coloro che a questa idea hanno lavorato volontariamente.

"Il pomodoro si raccoglie a mano - prosegue Giulia Anita Bari - in modo che la pianta possa rifiorire e produrre per tutta la stagione, e si colloca in cassettine da dieci chili, anziché nei cassoni da 4 quintali delle produzioni industriali. Una qualità, e una piccolissima dimensione, che portano il costo della materia prima intorno ai 40 centesimi al chilo, contro gli 8-12 centesimi di prezzo medio del pomodoro lucano destinato alla trasformazione industriale. Forse basterebbe portare il prezzo a 15 o 20 centesimi al chilo per poter garantire un lavoro dignitoso anche ai braccianti che raccolgono per le grandi imprese o forse basterebbe che qualcuno rinunciasse a una parte anche piccola di profitto per dare una paga giusta ai lavoratori".



Si tratta di un progetto a governance partecipata che garantisce all'agricoltore e ai lavoratori stabilità e continuità nella produzione e ai fruitori la possibilità di partecipare ai processi di costruzione della produzione futura.

Il Fondo è costituito attraverso quote donate da tutti gli attori della filiera – enti pubblici, privati, società civile – che credono nella necessità di disegnare un'economia condivisa fondata sul rispetto dei diritti e della natura.

Il team, sin all'origine dell'iniziativa, ha competenze in tema di agricoltura: Paolo è agricoltore, come Gervasio, Giulia fa monitoraggio per le condizioni sanitarie dei braccianti, Mimmo è un sociologo, Enrico è un perito agrario, Giovanni è ingegnere, Mamadou è mediatore culturale, Giordano si occupa della comunicazione.

"Volevano diventare utili per un'economia virtuosa - spiega Paolo Russo - creare qualcosa che durasse nel tempo e creasse continuità territoriale. Ci stiamo riuscendo, si è creato un gruppo bellissimo. Ora miriamo a continuare, espanderci, magari sviluppare un progetto simile con l'olio".



"Certo, il lavoro è impegnativo - prosegue Russo. - Resistere al mercato con un'azienda piccola, artigianale e biologica, non è semplice. Il prezzo di 1,70 euro per chilo di prodotto trasformato è alto rispetto ai prodotti industriali, ma basso rispetto ad altri nati sotto una simile stessa etica produttiva. Gli acquirenti sono principalmente ristorazioni che a loro volta fanno micro-distribuzione, distributori equosolidali, minori, qualche privato".



In modi e forme diverse, da anni si occupano della terra e dei suoi lavoratori, soprattutto braccianti stranieri che affollano le campagne del Mezzogiorno.



Per costruire una risposta pare quindi necessario trasformare la filiera in comunità mettendo in rete capacità e criticità attraverso il meccanismo della scelta e della partecipazione. Il parametro di relazione tra le parti non è quindi più la disponibilità finanziaria bensì il rapporto sociale.

Il brand è quindi anche una filiera culturale: "Cioè il racconto di ciò che accade nelle campagne dove FunkyTomato viene coltivato e trasformato attraverso la produzione di video, la creazione di un disco funky, attraverso dipinti, scarabocchi, fotografie, installazioni donati al progetto da esperti dell'arte figurativa. Per condividere questa esperienza organizzeremo momenti d'incontro gastronomico, musicale e narrativo per valorizzare il senso profondo della filiera e delle produzioni agricole: le relazioni umane".





L'etichetta. Clicca qui per un ingrandimento.

Per ordinare Funky Tomato o avere maggiori informazioni:
Email: [email protected]
Web: www.funkytomato.it
Paolo Russo (Ponte di Archimede Produzioni srls): 333 8104529
Domenico Perrotta (Fuori dal Ghetto): 333 1772411
Gervasio Ungolo (Azienda Agricola Vivai Verde Idea): 320 1824510

Autore: DLC per FreshPlaza
Data di pubblicazione:

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